Di Andrea Morigi da Libero del 24/11/2019
Fintanto che al Viminale monitorano gli estremisti di destra, i terroristi islamici possono reclutare tranquilli. Nella pause delle sessioni di indottrinamento e radicalizzazione – va ricordato ai fondamentalisti – sarebbe considerato un gesto di cortesia istituzionale ringraziare il ministro dell’Interno per la benevolenza dimostrata a Firenze. Luciana Lamorgese, ospite della festa del Foglio, ieri ha osservato che «il terrorismo è di tipo nazionale e internazionale» e non è solo «di matrice islamica». Ci ha informati inoltre dell’esistenza di «ambiti degli anarco-insurrezionalisti e dell’estrema destra. Quest’ultimo lo monitoriamo molto attentamente attraverso l’ottimo lavoro della Polizia Postale, verifichiamo i messaggi di odio diffusi sul web».
Se hanno già istituito la polizia del pensiero – ma dalla Gazzetta Ufficiale ancora non risulta – come nel peggiore degli incubi orwelliani, l’esito di tanta sensibilità politica è facilmente prevedibile: finiranno per colpire dei tifosi di calcio sovente ubriachi e qualche leone da tastiera. Forse si rivelerebbe più efficace proporre loro una terapia di disintossicazione dall’etilismo e dalla dipendenza da social network, ma se proprio le autorità di pubblica sicurezza intendono procedere alla rieducazione politica, possono prendere esempio dall’Iran o dalla Cina.
L’ESEMPIO CINESE
Per impedire le critiche al regime degli ayatollah, a Teheran la Repubblica islamica oscura Internet, così non se ne parla più. A Pechino invece, sono parecchio più raffinati e arrivano a coinvolgere i principali motori di ricerca e i produttori di computer e smartphone per limitare l’accesso alle reti telematiche e la diffusione di messaggi sgraditi di potenziali oppositori destinati ai campi di lavoro.
In Italia, invece, si crea l’emergenza, come ai tempi del Terrore in Francia. Individuato il nemico del popolo, lo si mette alla berlina. In questo caso chiamandolo «fascista» o «xenofobo», magari per applicargli la famigerata legge Mancino. La categoria è ampia: si parte dal predecessore della Lamorgese, Matteo Salvini, ritratto in camicia bruna per iniziativa degli Antifa, passando per gli editori inseriti nella lista nera delle esposizioni librarie, per concludere con tutti coloro che non si adeguano alla cultura politicamente corretta. Si fa così anche negli Stati Uniti, col presidente Donald Trump, dichiarato razzista dal Senato americano il 17 luglio scorso per aver non aver condiviso le opinioni di quattro deputate democratiche di pelle scura.
In base alle informazioni di cui dispone, l’ex prefetto Lamorgese è convinta che «non c’è emergenza sicurezza, il problema è la sicurezza percepita. Se vediamo i dati, c’è stata una diminuzione dei reati predatori. La sicurezza percepita fa leva su altri aspetti». Dev’essere colpa della stampa, perché «i giornali quotidianamente parlano di sicurezza, che è alla base della nostra vita». Se invece avesse letto la relazione dei servizi d’intelligence al Parlamento, il ministro sarebbe edotta del fatto che un centinaio di persone sono partite dall’Italia per unirsi alle truppe dell’Isis in Siria e in Iraq. Ora che il Califfato non offre più prospettive di vita soprannaturale, alcuni mujaheddin (se chiamarli terroristi islamici offende la sua sensibilità) sono tornati qui e circolano a piede libero, mentre lei va a caccia di “fascisti”.
LE LISTE TURCHE
Parallelamente, la guerra santa contro “crociati ed ebrei” può proseguire, forte dell’attenuante etnico-culturale. Se un padre pakistano sgozza la figlia troppo occidentalizzata viene processato in Italia, ma poi se ne torna in patria, dove il reato non viene punito.
Guai a lanciare allarmi, che potrebbero essere confusi con allarmismo, su musulmani sospettati di legami con la galassia jihadista. Si rischia di finire nell’elenco turco degli islamofobi, finanziato dall’Unione europea. Oppure nel mirino del ministro, che si presenta come “tecnico” dell’Interno, salvo poi rivelarsi quello con i maggiori pregiudizi politici.
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