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Gilbert Keith Chesterton, Lo spirito del Natale, a cura di Maurizio Brunetti, con Prefazione di mons. Luigi Negri e con Presentazione di Fabio Trevisan, D’Ettoris Editori, Crotone 2013, pp. 144, € 12,90

6 Marzo 2014 - Autore: Agostino Carloni

Agostino Carloni, Cristianità n. 371 (2014)

 

«C’è stato un momento […] in cui l’Assoluto ha retto l’universo da una stalla per animali». In queste poche parole dello scrittore londinese Gilbert Keith Chesterton (1874-1936) è racchiusa la geniale semplicità della sua teologia del Natale, così come traspare nell’agile volume Lo spirito del Natale, curato da Maurizio Brunetti.

Gli articoli, le poesie e i brevi saggi, per la massima parte tradotti per la prima volta in italiano, si succedono rapidi per una lettura originale dell’evento che ha cambiato la storia. Non vi è infatti — e chi conosce Chesterton non se ne stupisce — ombra alcuna di intellettualismo, ma tutto viene analizzato con una bonomia e un’autoironia che nascondono incredibili profondità di pensiero. E la lettura viene agevolata da note chiare che svelano il senso di giochi di parole e di riferimenti al mondo dell’epoca altrimenti incomprensibili.

Si resta attoniti di fronte a versi come quelli de Il Bambino delle nevi, composti nel 1915, ossia prima della conversione al cattolicesimo:«Giungiam nella notte all’antico ostello / Dove è chiuso il bimbo nel gelo, / seguiam le orme di tutte le anime, / nell’ostello alla fin del mondo» (p. 47).

Una grotta che è posta, come in molta parte della tradizione presepiale d’Occidente, sotto la superficie. «C’è qualcosa d’indescrivibile, e stimolante per l’intelletto, nell’idea che i Santi fuggitivi vengano condotti più in basso della terra stessa, come se la terra li avesse inghiottiti: la gloria di Dio come oro posto sottoterra» (p. 62).

Chesterton dimostra così la sua innata cattolicità, la sua capacità di comprendere il senso intimo del Natale a cominciare da particolari e consuetudini raccolti nei canti tradizionali, nei quali «si ritrova non solo ciò che rende il Natale poetico, rassicurante e grandioso, ma, innanzi e soprattutto, ciò che lo rende emozionante» (p. 27). Proprio in questi canti, e nella saggezza popolare che vi è racchiusa, l’autore trova le argomentazioni per fare piazza pulita di falsi miti e tendenze allora, e ancora ora, alla moda.

Godibilissime le riflessioni sull’ideologia vegetariana. Le sue pagine sul tacchino arrosto, il pudding e sugli altri piatti della tradizione natalizia britannica sono indimenticabili.

E non vi è cattiveria nell’arguta presa in giro di quei vegetariani che mangiano una specie di tacchino «fasullo», un mince pie a base vegetale che ricorda nella forma appunto il pennuto che vogliono salvare. Perché come spiega «[…] chi interpreta il mangiare carne come mero cannibalismo non dovrebbe approntare legumi e verdure in modo che assomiglino a un animale. È come se un cannibale convertito delle Isole Sandwich si mettesse a disporre pezzi di carne simulando la forma di un missionario. 

«I missionari certamente non reputerebbero le procedure del loro convertito del tutto degne di approvazione anzi, vi assisterebbero, probabilmente, con uno stato d’animo affine alla preoccupazione» (p. 40).

Altro tema, che svilupperà anche in saggi più densi, su cui concentra il proprio gusto per il paradosso, è quello dell’evoluzionismo diffuso da professori pedanti: «Se mi metto a quattro zampe per cercare una moneta da sei penny, mi dà molto fastidio sentirmi dire dal biologo di passaggio che in realtà lo faccio perché i miei antenati erano quadrupedi. Sono disposto ad ammettere che quella persona sappia molte cose sui miei antenati, ma so per certo che si sbaglia perché non sa che l’ho fatto per cercare una moneta da sei penny. Se mi arrampico su un albero per recuperare un gatto smarrito, rimango dubbioso quando un altrettanto smarrito antropologo mi dice che lo faccio perché sono una creatura fondamentalmente arborea e selvaggia» (p. 57).

Vi è invece un velo di malinconia quando Chesterton, in un articolo del 1933, amaramente constata come il Natale sia «assolutamente inadatto al mondo moderno» (p. 105). Questa festa infatti «presuppone la possibilità che le famiglie siano unite, o si riuniscano, e persino che gli uomini e le donne che si sono scelti si parlino» (ibidem).

Da allora il processo di frantumazione sociale è andato inesorabilmente avanti con un’accelerazione impressionante a partire dal 1968, anno emblematico del passaggio della Rivoluzione alla fase culturale, che colpisce l’uomo e le sue potenze interiori e attacca sin dalle fondamenta i princìpi non negoziabili della vita, della famiglia e dell’educazione. E il pensiero non può non andare ai tanti figli che vivono ancora di più a Natale l’angoscia della rottura della famiglia o dell’assenza di genitori distratti dal proprio ruolo dai molti idoli moderni di cui spesso parla Papa Francesco.

Ma le considerazioni che seguono riportano velocemente dalla malinconia allo straordinario humour dell’autore che, a proposito di queste riunioni natalizie, scrive: «Così, migliaia di spiriti giovani e avventurosi, pronti ad affrontare i fatti della vita umana e a incontrare la vasta varietà di uomini e donne come sono realmente, altrettanto pronti a volare fino ai confini della terra e a tollerare ogni qualità stravagante o accidentale dei cannibali o degli adoratori del demonio sono crudelmente obbligati ad affrontare un’ora — no, talvolta persino due ore! — in compagnia di uno zio Giorgio o di qualche zia di Cheltenham che non trovano particolarmente simpatici» (ibidem).

L’opera propone molti altri spunti — per esempio la capacità della tradizione cristiana d’incorporare le tradizioni pagane, come accaduto con la festa d’inverno incorporata appunto nel Natale — e pagine preziose sullo spirito del Natale, su Santa Claus, sui Re Magi e sulla teologia dei regali natalizi.

Le pagine dense, e nel contempo apparentemente lievi, di Chesterton sulla nascita del «Bambino delle nevi» riportano alla contemplazione del mistero e quindi alla serenità e alla speranza in un’età martoriata dalla disperazione indotta dalla dittatura del relativismo.

L’opera reca una Prefazione di mons. Luigi Negri (pp. 7-11), arcivescovo di Ferrara-Comacchio, e una Presentazione (pp. 13-22) di Fabio Trevisan, nonché diverse tavole che riproducono opere pittoriche più o meno note che esemplificano alcuni passaggi argomentativi sul tema, e si chiude con un ragionato Elenco delle opere di Chesterton(pp. 129-139).

Agostino Carloni

 

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