Non c’è buona economia senza buoni imprenditori, senza la loro capacità di creare, di creare lavoro, di creare prodotti. Lo ha detto Francesco alla Ilva di Genova
di Maurizio Milano
«Non c’è buona economia senza buon imprenditore»: lo ha detto Papa Francesco sabato 27 maggio 2017 durante l’incontro con il mondo del lavoro, nello Stabilimento Ilva a Genova.
Di fronte ai tanti ostacoli che incontrano le imprese in Italia, che un imprenditore genovese sintetizza nella «eccessiva burocrazia, lentezza delle decisioni pubbliche, mancanza di servizi e infrastrutture adeguate» ‒ ma l’elenco non è certamente esaustivo ‒, il Santo Padre risponde che «[…] oggi il lavoro è a rischio. È un mondo dove il lavoro non si considera con la dignità che ha e che dà». Perché […] il mondo del lavoro è una priorità umana […], […] una priorità cristiana […] perché viene da quel primo comando che Dio ha dato ad Adamo: “Va’, fa’ crescere la terra, lavora la terra, dominala”». Papa Francesco ricorda il valore redentivo del lavoro umano, che va al di là della remunerazione e di quanto si produce, perché in esso agisce la persona umana: «[…] il bisogno di fare il lavoro bene perché il lavoro va fatto bene. A volte si pensa che un lavoratore lavori bene solo perché è pagato: questa è una grave disistima dei lavoratori e del lavoro, perché nega la dignità del lavoro, che inizia proprio nel lavorare bene per dignità, per onore».
Importanti le parole del Pontefice che rivendicano la centralità del lavoro umano e del ruolo dell’imprenditore: «La creatività, l’amore per la propria impresa, la passione e l’orgoglio per l’opera delle mani e dell’intelligenza sua e dei lavoratori. L’imprenditore è una figura fondamentale di ogni buona economia: non c’è buona economia senza buon imprenditore. Non c’è buona economia senza buoni imprenditori, senza la vostra capacità di creare, creare lavoro, creare prodotti».
E ancora: «Il vero imprenditore […] conosce i suoi lavoratori, perché lavora accanto a loro, lavora con loro. Non dimentichiamo che l’imprenditore dev’essere prima di tutto un lavoratore. Se lui non ha questa esperienza della dignità del lavoro, non sarà un buon imprenditore. Condivide le fatiche dei lavoratori e condivide le gioie del lavoro, di risolvere insieme problemi, di creare qualcosa insieme. Se e quando deve licenziare qualcuno è sempre una scelta dolorosa e non lo farebbe, se potesse. Nessun buon imprenditore ama licenziare la sua gente – no, chi pensa di risolvere il problema della sua impresa licenziando la gente, non è un buon imprenditore, è un commerciante, oggi vende la sua gente, domani vende la propria dignità –, ci soffre sempre, e qualche volta da questa sofferenza nascono nuove idee per evitare il licenziamento. Questo è il buon imprenditore».
Il vero imprenditore è legato alla propria impresa, come sanno bene i molti imprenditori italiani che sono riusciti ad andare avanti nonostante l’oppressione fiscale, l’inefficienza della macchina burocratica e giudiziaria, e una cultura spesso ostile al merito e al profitto. La crisi della famiglia ha colpito anche l’impresa, soprattutto in Italia dove le imprese familiari hanno innervato il tessuto produttivo. La scomparsa del vero imprenditore ha lasciato spazio ad altre figure. Come dice il Pontefice: «Una malattia dell’economia è la progressiva trasformazione degli imprenditori in speculatori […] Lo speculatore è una figura simile a quella che Gesù nel Vangelo chiama “mercenario”, per contrapporlo al Buon Pastore. Lo speculatore non ama la sua azienda, non ama i lavoratori, ma vede azienda e lavoratori solo come mezzi per fare profitto. Usa, usa azienda e lavoratori per fare profitto. Licenziare, chiudere, spostare l’azienda non gli crea alcun problema, perché lo speculatore usa, strumentalizza, “mangia” persone e mezzi per i suoi obiettivi di profitto. Quando l’economia è abitata invece da buoni imprenditori, le imprese sono amiche della gente e anche dei poveri. Quando passa nelle mani degli speculatori, tutto si rovina. Con lo speculatore, l’economia perde volto e perde i volti. È un’economia senza volti. Un’economia astratta. Dietro le decisioni dello speculatore non ci sono persone e quindi non si vedono le persone da licenziare e da tagliare. Quando l’economia perde contatto con i volti delle persone concrete, essa stessa diventa un’economia senza volto e quindi un’economia spietata».
Il motore di un’economia sana sono proprio i buoni imprenditori, il cui ruolo va rivalutato è rispettato da tutti, a partire dal sistema politico, spesso responsabile di scoraggiare la cultura d’impresa a favore del “capitalismo clientelare”. Il Papa ammonisce: «Bisogna temere gli speculatori, non gli imprenditori […] Ma paradossalmente, qualche volte il sistema politico sembra incoraggiare chi specula sul lavoro e non chi investe e crede nel lavoro. Perché? Perché crea burocrazia e controlli partendo dall’ipotesi che gli attori dell’economia siano speculatori, e così chi non lo è rimane svantaggiato e chi lo è riesce a trovare i mezzi per eludere i controlli e raggiungere i suoi obiettivi. Si sa che regolamenti e leggi pensati per i disonesti finiscono per penalizzare gli onesti. E oggi ci sono tanti veri imprenditori, imprenditori onesti che amano i loro lavoratori, che amano l’impresa, che lavorano accanto a loro per portare avanti l’impresa, e questi sono i più svantaggiati da queste politiche che favoriscono gli speculatori. Ma gli imprenditori onesti e virtuosi vanno avanti, alla fine, nonostante tutto».
Il Santo Padre cita in proposito una bella frase di Luigi Einaudi (1874-1961), economista e presidente della repubblica italiana: «migliaia, milioni di individui lavorano, producono e risparmiano nonostante tutto quello che noi possiamo inventare per molestarli, incepparli, scoraggiarli. È la vocazione naturale che li spinge, non soltanto la sete di guadagno. Il gusto, l’orgoglio di vedere la propria azienda prosperare, acquistare credito, ispirare fiducia a clientele sempre più vaste, ampliare gli impianti costituiscono una molla di progresso altrettanto potente che il guadagno. Se così non fosse, non si spiegherebbe come ci siano imprenditori che nella propria azienda prodigano tutte le loro energie e investono tutti i loro capitali per ritirare spesso utili di gran lunga più modesti di quelli che potrebbero sicuramente e comodamente ottenere con gli altri impegni».
Rimettere al centro l’impresa ed il lavoro, e rilanciare la famiglia, è la ricetta vincente. Altro che “reddito di cittadinanza” come vorrebbe il Movimento Cinque Stelle: una proposta dimentica della dignità umana che sa tanto di “fine impero” nelle sue logiche clientelari, buone solo a incentivare l’ozio e il lavoro nero.
*Foto Ansa