Ciclo sulla Storia della musica sacra: le conseguenze dei rivolgimenti del IV secolo sul culto e sulla sua musica delle comunità cristiane.
di Marco Drufuca
Nel corso del IV secolo il Cristianesimo esce dalla clandestinità, prima grazie alla libertà di culto nel 313 con l’Editto di Milano e poi divenendo religione ufficiale dell’Impero con l’editto di Tessalonica del 380 d. C. La presenza pubblica della Chiesa favorì l’ espansione del numero di fedeli, con rilevanti conseguenze anche in materia liturgica e quindi di musica sacra.
A fronte alla grande quantità di conversioni di uomini e donne provenienti da ambienti pagani estranei alla cultura biblica, la liturgia fu il principale se non l’unico strumento di educazione e formazione dei fedeli, secondo il principio lex orandi, lex credendi. Vi era una grande urgenza catechetica anche per la diffusione di eresie che caratterizzò quegli anni, eresie che dovevano essere contrastate non solo nelle dispute teologiche, ma soprattutto nel senso comune dei fedeli. La liturgia doveva sviluppare una capacità catechetica e comunicativa ancora più grande di quella che aveva avuto fino ad allora, e gli elementi musicali, con la loro attitudine ad“amplificare” la parola, si trovano a giocare un ruolo fondamentale in questo senso.
Per avere un’idea più precisa di come “suonasse” la musica sacra a quel tempo, vanno ricordati alcuni usi musicali e liturgici precedenti a questo periodo.
In primis, è necessario tenere presente che con ogni probabilità il canto era rigorosamente vocale, privo di qualsiasi accompagnamento strumentale. Per molti strumenti una simile proibizione si comprende se si tiene conto dell’uso che se ne faceva nei riti pagani, nei quali venivano loro attribuite capacità magiche: troppo grande sarebbe stato il rischio di scandalo o di fraintendimento da parte dei fedeli nel constatarne l’uso anche nel culto cristiano. Alcuni strumenti, specialmente quelli cui si fa esplicito riferimento nell’Antico Testamento riconducendoli al culto del Tempio, godettero di maggiore considerazione, ma difficilmente trovarono spazio all’interno della liturgia.
In secondo luogo, è bene tener presente il fatto che a partire dal III secolo la lingua in uso nelle liturgie occidentali passò gradualmente dal greco al latino, in una lenta transizione che sarebbe giunta a termine solo alla fine del IV secolo stesso. Avendo già potuto più volte apprezzare lo stretto legame che univa l’elemento musicale della liturgia proto-cristiana a quello verbale, risulta evidente come un cambio di lingua, e dunque di sonorità e di ritmo delle parole, non possa non aver influenzato lo stesso materiale musicale.
Essendo in quel periodo ancora lontana la possibilità di una notazione scritta dei suoni, ci è quasi impossibile conoscere con precisione le melodie dell’epoca; similmente a livello ritmico possiamo vantare ben poche certezze, anche se in questo ambito il principio di aderenza dell’elemento musicale a quello testuale può farci elaborare alcune ipotesi basate sulla ritmica propria della lingua latina.
Ciò su cui possiamo invece esprimerci con più certezza sono le forme e i modi di cantare che caratterizzavano la musica sacra dell’epoca. In particolare, abbiamo già preso in considerazione salmodia, cantillazione e responsorio, che caratterizzarono il canto della Chiesa dei primi secoli e che sarebbero stati trasmessi nel tempo fino a oggi, eccezion fatta per la cantillazione.
Riguardo al responsorio, avevamo visto come prevedesse il canto di un Salmo da parte di un solista, intercalato da una breve acclamazione dell’assemblea. A questa pratica, nel IV secolo molti vescovi e Padri della Chiesa tentarono di affiancarne una nuova, che prevedeva la divisione dell’assemblea in due cori, i quali si sarebbero alternati nell’intonare le strofe del Salmo: si tratta del canto antifonale, la stessa modalità di salmodiare che caratterizza ancora oggi la recita comunitaria dei Salmi nella Liturgia delle Ore.
Ora, in una comunità ancora largamente analfabeta, risulta evidente come una simile forma di salmodia fosse di difficile implementazione nelle assemblee di laici, i quali non avendo modo di leggere non avrebbero potuto unirsi al canto se non nei pochi Salmi conosciuti a memoria. Diffusione molto più ampia ebbe invece in ambito monastico, ove era più facile trovare fedeli istruiti nella lettura, e anche gli analfabeti erano in grado di memorizzare un numero superiore di Salmi grazie a una frequentazione molto più assidua e completa del Salterio.
Le altre grandi novità sono legate allo sviluppo della Messa. In generale, furono aggiunte nuove parti alla liturgia: alcune composte da Salmi (come ad esempio l’introito, le cui prime testimonianze risalgono a questo secolo), altre da testi extra-biblici (come la litania diaconale, dalla quale in seguito sarebbe derivato il Kyrie).
Tra queste, la più affascinante novità fu senza dubbio l’introduzione dello jubilus, un lungo vocalizzo posto dopo la parola alleluia, volto a esprimere la gioia ineffabile della Chiesa nella celebrazione del mistero Eucaristico. Essendosi trasmesso anche nel repertorio Gregoriano, è possibile ascoltarne numerosi esempi, pur tenendo presente che le melodie del corpus gregoriano sono più recenti rispetto al secolo trattato in questo articolo. Clicca qui per ascoltarne un esempio.
Se già l’introduzione di testi codificati non derivanti direttamente dalla Sacra Scrittura era degna di nota, quest’ultima pratica segna un’importantissima novità nel canto della Chiesa. Abbiamo finora visto come la musica fosse intesa quasi unicamente come intensificazione della parola, dunque con intento più retorico che non espressivo. L’introduzione di un vocalizzo, una lunga linea melodica priva di qualsivoglia componente testuale, segna un importantissimo mutamento nel ruolo della musica all’interno del culto: essa non si limita più all’amplificazione della Parola di Dio, ma si fa anche carico dell’espressione del sentimento di fede dell’assemblea riunita attorno alla mensa eucaristica. Risuonano le parole di Joseph Ratzinger: “Quando l’uomo loda Dio, la semplice parola non basta. Perciò, in ogni luogo, per sua natura esso ha chiesto aiuto alla musica. Perché alla lode divina non partecipa solo l’uomo. La sacra funzione è un unirsi al coro da cui tutte le cose parlano”
Sabato, 11 maggio 2024