di Vera Albè
The Handmaid’s Tale, la serie televisiva in dieci puntate, ideata d Bruce Miller, è la più gettonata del momento. Prodotta per la piattaforma di streaming Hulu, in Italia non è ancora arrivata ufficialmente, ma la voce corre, tanti hanno già visto l’intero ciclo e quindi ne discutono. Per questo vale la pena parlarne, tenendo presente che si tratta di una serie visionabile solo da un pubblico adulto, e inadatta a comunque ai più impressionabili, benché non scada mai nell’horror.
La serie appartiene al genere distopico ed è tratta dall’omonimo romanzo di Margaret Atwood, scritto nel 1985 e intitolato, in italiano, Il racconto dell’ancella (Ponte alle Grazie). L’autrice, femminista e ambientalista pluripremiata per narrativa e poesia, è nata in Canada nel 1939 ed è molto nota soprattutto nel mondo anglosassone.
Effettivamente, già solo con poche immagini, The Handsmaid’s Tale cattura l’attenzione: una donna composta, vestita di rosso, con una candida cuffia, un viso affilato e pallido, occhi grandi e impauriti ma intelligenti. Sangue, sfondo livido. Il nome della protagonista è Offred. Lo sguardo dello spettatore resta continuamente fisso sul suo, mentre se ne ascolta la voce interiore. È lei l’ancella dei famiglia Waterford, con l’unico compito di generare un figlio in vece della padrona di casa che è sterile. Come la schiava di Rachele partorì sulle proprie ginocchia il figlio di Giacobbe, così una volta al mese Offred deve sottostare alla “Cerimonia” e unirsi al capofamiglia sulle ginocchia della moglie.
È eccessivo dire che siamo nel futuro: siamo giusto domani, negli Stati Uniti, che non esistono più. Sono pochi gl’indizi per capire che cosa sia successo prima, seminati qua e là tra le puntate: ci sono stati attentati di gravità inaudita, poi una guerra civile e, approfittando delle restrizioni della libertà personale che sono seguite, ha preso il potere una fazione ultrareligiosa, d’ispirazione palesemente biblica, che governa per risanare un Paese contaminato moralmente ma anche fisicamente, tanto che da tempo ormai non nascono quasi più bambini. L’infertilità di coppia è la norma, le poche gravidanze spesso non arrivano a termine o partoriscono bambini deformi incompatibili con la vita.
Le ancelle come Offred, donne fertili, madri cui sono stati tolti i figli avuti prima della guerra, sono sacre, ma sono anche schiave. Sono addestrate nel “Centro Rosso”, sottoposte a torture e mutilazioni perché imparino la sottomissione, e quindi sono consegnate a una famiglia di rango elevato – gli stati inferiori della società non hanno evidentemente diritto a riprodursi – finché non generano. Perdono anche il nome: Offred è “Of-Fred”, nient’altro che “di Fred”, così come l’amica Ofglen è “di Glen”, e così Ofwarren, Ofpatrick…
Le altre donne sono altrettanto sottomesse. Ogni categoria ha una divisa. A tutte è proibito lavorare, avere denaro, parlare in pubblico, leggere: anche alle mogli, che godono di maggiore libertà e sono apparentemente soddisfatte della propria condizione. I lavori servili sono svolti dalle “Marte”. Non mancano, male necessario e nascosto, le prostitute. Le “Zie” addestrano le ancelle e gestiscono la disciplina.
Si vedono uomini armati a ogni angolo di strada, cadaveri impiccati sul lungofiume, esecuzioni pubbliche e feroci di criminali e di ribelli: quello che una volta era probabilmente un sobborgo di Boston, adesso è un lager a cielo aperto dove le ancelle possono uscire di casa, fare la spesa, passeggiare a due a due per le vie di quartieri eleganti, pur però restando sempre in prigione.
La bravura professionale degli attori che interpretano i personaggi protagonisti, il senso di angoscia trasmesso pur con poche concessioni alla violenza esplicita, la bellezza contraddittoria dei costumi rossi delle ancelle che evocano quadri fiamminghi: tutto concorre a catturare lo spettatore facendogli divorare le puntate e superare con agio la lentezza esasperante di certi passaggi narrativi e alcune ripetizioni. E infatti la serie ha ricevuto solo critiche positive. Un sito autorevole come Rotten Tomatoes, che raduna le recensioni di testate giornalistiche, le opinioni dei blogger e le voces populi su prodotti cinematografici e televisivi, attribuisce a The Handmaid’s Tale un inusitato 100% di gradimento.
Ed è a questo punto, non durante la visione, che tutto diventa veramente inquietante. Perché l’apprezzamento del pubblico va molto al di là dei meriti estetici della serie: per lo più, infatti, si saluta la storia come una voce finalmente alta, necessaria e liberante levatasi contro l’oppressione della donna. Oppure come un segnale di avvertimento contro il reale, imminente pericolo che una fazione ultrareligiosa prenda il controllo di vite e coscienze. A leggere i commenti online si percepisce una paura dilagante che la donna sia conculcata e repressa nella vita professionale, che le vengano tolti sia il libero accesso alla contraccezione e all’aborto sia la possibilità di esprimere la propria sessualità nelle varianti più fantasmagoriche (ovviamente nel racconto gli omosessuali sono abomini contro natura, condannati a morte per direttissima).
Ma che fondamento ha nella realtà questa paura?
Molte rencensioni – diverse anche di area cristiana – sottolineano come Il racconto dell’ancella collochi in un futuro immaginario la condizione della donna e degli omosessuali quale essa è stata realmente in certe epoche storiche, o quale è ancora oggi nei Paesi di stretta osservanza islamica, e quindi che la serie vada usata per un compunto esame di coscienza sulle derive del fanatismo religioso.
È un giudizio discutibile sia nel merito sia nel metodo. The Handmaid’s Tale, infatti, parla al e del mondo occidentale. Evita con abilità e perizia prodigiose ogni possibile richiamo, visivo e verbale, al mondo islamico, fatta eccezione per una lapidazione che però è completamente stravolta nel significato e nell’esito. Parla cioè di noi, oggi. I flashback nella vita di Offred prima della catastrofe mostrano una società e dei protagonisti uguali a noi e al nostro presente. L’unica religione chiamata in causa, seppur mai nominata, è il cristianesimo. Che fondamento ha questa paura? Nella realtà le chiese chiudono, si va a processo per le opinioni, i cristiani sono politicamente irrilevanti, scompaiono.
Sembra che con un atto di profonda disonestà intellettuale la serie voglia scambiare la vittima con il carnefice, facendo leva sulla paura evocata da scenari in stile Germania nazionalsocialista.
Si potrebbe obbiettare ricordando che l’autrice del romanzo che sta a monte della serie abbia dichiarato, in interviste, che il suo target non sono i cristiani. È vero anche che Offred e Oflgen contemplano le ultime rovine della chiesa dove una di loro fu battezzata, mentre lo spettatore viene a sapere che anche di altre cattedrali statunitensi non rimane pietra su pietra.
In effetti, sono tanto spregevoli, questi aguzzini, che identificarsi con loro sembrerebbe un clamoroso autogol. Ma, in definitiva, chi sono costoro, oltre che essere assassini feroci? Sono gente che cita la Bibbia con precisione. Gente che, come spiega un’invasata Zia alle nuove ancelle, detesta i metodi contraccettivi e le tecniche di fecondazione artificiale perché hanno causato la degenerazione morale e l’inquinamento ambientale responsabile dell’infertilità. Gente che prima di un rapporto coniugale prega con le magnifiche parole di Adamo su Eva carne della propria carne. Donne che credono nel ritorno a valori tradizionali per riformare dal profondo la società e risanare insieme anche economia e ambiente.
C’è chi vede in loro il “fantasma temibile” degli Stati Uniti evangelicali della cosiddetta “Bible Belt”, in parte riconoscibile oggi nell’elettorato che ha portato Donald J. Trump alla Casa Bianca, e il tempismo perfetto con cui il romanzo è stato ripescato per la tivù è innegabile. Ma i commenti degli spettatori italiani, uguali a quelli degli spettatori statunitensi, mostrano come ognuno adatti con facilità la percezione della storia alla propria realtà: in Italia il dito puntato è e sarà facilmente contro “il Vaticano”. Per la serie, farlo sarebbe stato obbiettivamente difficile, senza cadere nella caricatura e nella parodia stanca, o nell’attacco frontale facilmente criticabile come “hate speech”, ma i suoi fan italiani ce l’hanno fatta lo stesso: il cattolico oppressore (non più solo genericamente “il cristiano”, nella fattispecie della serie, poi, protestante) è servito, e non importa se non esiste.