Di Andrea Morigi da Libero del 12/10/2022
In chiesa non ci va quasi più nessuno. Con tale premessa, necessaria per far sì che i residui fedeli italiani non coltivino troppe illusioni sulla loro eccezionalità rispetto al processo di scristianizzazione globale, il vaticanista del Foglio Matteo Matzuzzi nel suo Atlante geopolitico del cattolicesimo. Come cambia il potere dentro la Chiesa (Piemme, pp.172, 18,90 euro) passa in rassegna lo stato d’animo del Corpo mistico di Cristo, con particolare riguardo alla Penisola. La situazione, se non fosse per la virtù soprannaturale della speranza, apparirebbe irrimediabile: crollo delle vocazioni, accorpamento di unità pastorali, disorientamento generale sul ruolo e la funzione del “sale della terra”, emblematizzata nella «riduzione, insomma, dei laici a mero personale di servizio che, con la sua opera buona consente all’entità parrocchiale di andare avanti nonostante tutto». Ipotetici animatori del corpo sociale, chiamati secondo la Lumen Gentium a «cercare il Regno di Dio gestendo le realtà temporali e ordinandole secondo Dio» ma divenuti loro malgrado «cavalcature da preti», avrebbe commentato amaramente e ironicamente, ma nello stesso senso, lo scomparso fondatore di Alleanza Cattolica, Giovanni Cantoni. E nel frattempo sono state messe fra parentesi anche le istanze dei movimenti laicali, che san Giovanni Paolo II aveva accolto e portato in primo piano nella prospettiva della nuova evangelizzazione. Ed è così, scriveva Papa Francesco al cardinale Ouellet nel 2016, «che abbiamo dimenticato, trascurandolo, il credente che molte volte brucia la sua speranza nella lotta quotidiana per vivere la fede». L’autore fa partire la sua analisi dalla timida risposta dell’episcopato italiano alla pandemia. Si capisce che mettersi contro il governo Conte e il ministro Speranza era rischioso e i pastori temevano il lupo più di quanto lo fuggissero le pecore: se poi si vendicassero e ci tagliassero i fondi? Lo si è chiamato eufemisticamente «eccesso concordativista» per osservare poi che «la legge civile e le disposizioni sanitarie hanno soppiantato le legge ecclesiastica». Ebbene, ora con chi se la prendono quei clericaloidi che tacevano di fronte ai soprusi? Con i conservatori e la Destra che ha vinto le elezioni legislative il 25 settembre scorso. La maledicono soprattutto se fa professione di fede cattolica, le si dichiarano ostili se si oppone all’aborto procurato, la avversano se frena le derive legislative verso l’eutanasia, si contorcono come creature degli inferi se essa non promuove i matrimoni e le adozioni omosessuali e sclerano come ossessi dinanzi a uno schieramento politico che difende la famiglia formata da un uomo e una donna. Sono i “princìpi non negoziabili”, che essi odiano perché li ha fissati una volta per tutte la Congregazione della Dottrina della Fede a guida Ratzinger. Proprio colui che aveva scoperto il gioco lurido di tradizionalisti pedofili come il fondatore dei Legionari di Cristo padre Marcial Maciel Degollado e lo aveva colpito senza trascurare la scure sulla corruzione dottrinale delle frange più avanzate del progressismo.
IL SINODO IN GERMANIA
Dopo l’avvio del processo di autodemolizione della Chiesa, già denunciato da Papa san Paolo VI, torme di progressisti post-conciliari hanno tentato un’accelerazione che assumeva sempre più le caratteristiche del “motus in fine velocior”, sotto le forme di un utopico Concilio Vaticano III. Poi quel meccanismo ormai inerziale di crisi si era invertito per oltre vent’ anni con l’elezione di san Giovanni Paolo II al Soglio di Pietro. E con il Pontificato di Benedetto XVI sembrava perfino essersi consolidata una sana reazione anticorpale. A sentire le notizie che arrivano dal Sinodo della Chiesa che è in Germania, invece, si deve constatare che la metastasi si è profondamente estesa e ramificata. In realtà è Papa Francesco a ereditare una situazione disastrosa e a suggerire già nel 2015 al V convegno ecclesiale della Chiesa italiana che siamo di fronte a un cambiamento di epoca più che a un’epoca di cambiamenti. Stimola i confratelli nell’episcopato, li punzecchia per vedere se sono vivi, li esorta a percorrere un cammino sinodale che nessuno ha capito ancora bene che cosa comporti. In realtà, Matzuzzi lo ricorda, il convegno di Loreto del 1985 «attuò la svolta per la Chiesa italiana», che accolse l’invito di san Giovanni Paolo II a «superare quella frattura fra Vangelo e cultura che è, anche per l’Italia, il dramma della nostra epoca e a por mano a un’opera di inculturazione della fede che raggiunga e trasformi, mediante la forza del Vangelo, i criteri di giudizio, i valori determinanti, le linee di pensiero e i modelli di vita, in modo che il cristianesimo continui a offrire, anche all’uomo della società industrializzata, il senso e l’orientamento dell’esistenza». Era un programma. Esattamente quello che manca oggi, di fronte alla tentazione di confondere la missionarietà con la presenza della Chiesa su Internet. Non sarà mica un caso se i sacramenti si amministrano solo in presenza e spesso anche utilizzando una materia. Bisogna stare attaccati alla realtà, suggerisce Matzuzzi, indicando a chi ha perso l’orientamento la «vecchia strada» della tradizione. Che poi è più o meno la proposta di Giovanni Lindo Ferretti, nel suo autobiografico e profetico Óra difendi conserva prega (Compagnia editoriale Aliberti, pp. 122, 12 euro).