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“Il ministro sfida la Francia e prepara l’ asse con Tripoli”

1 Luglio 2018 - Autore: Andrea Morigi

Da Libero del 26/06/2018. Foto da Ansa
La Libia era uno scatolone di sabbia e ora è diventata «un imbuto», spiega il vicepremier e ministro dell’Interno Matteo Salvini durante la sua missione a Tripoli. È da là che transitano sulle coste meridionali del Mediterraneo i flussi di migranti clandestini, condotti dai trafficanti di esseri umani dai Paesi confinanti, la Tunisia, l’ Algeria, il Niger, il Ciad, il Sudan. Dall’Egitto no, perché quella frontiera è ben sorvegliata dall’Esercito Nazionale Libico del generale Khalifa Haftar. Ma il suo quartier generale è in Cirenaica, zona d’influenza strategica russa. In quel territorio, i fatti valgono più delle parole. Ieri le truppe di Haftar hanno eliminato il leader locale di Al Qaeda, Atiya al-Shaeri, mentre cingono d’ assedio l’ultima ridotta jihadista di Derna.
Ora sembra essere stato già aperto anche un canale con Bengasi e «il governo italiano non dovrà risparmiarsi un dialogo più approfondito con l’ uomo forte dell’ Est, Haftar», commenta Fabien Baussart, presidente del Center for Political and Foreign Affairs, che favorì il cessate-il-fuoco del 25 luglio scorso grazie all’incontro fra il presidente francese Emmanuel Macron, il capo del governo di unità nazionale di Tripoli Fayez El Serraj e Haftar a La Celle-Saint-Cloud, alle porte di Parigi. Baussart ritiene infatti «probabilmente illusorio stringere una relazione esclusiva con Serraj, che non è mai stato così debole».
In questa fase, l’obiettivo di Salvini appare un altro: intanto occorre riconquistare uno spazio politico sottrattoci dalla Francia, che finora ha tentato di spadroneggiare nella Libia occidentale, dove vi sono anche asset strategici per il nostro Paese, come gli impianti petroliferi dell’ Eni.
Senza dimenticare che Macron deve ancora mantenere la promessa di ospitare Oltralpe 9mila rifugiati provenienti dall’Italia, ricorda Salvini.
RUOLO DI PRIMO PIANO
Per questo il titolare del Viminale insiste: «Nessuno più dell’Italia è impegnato per lo sviluppo e la stabilità della Libia» e ribadisce che la sua visita «è una conferma di questo impegno». L’Italia – ha aggiunto – intende svolgere un ruolo di primo piano nell’arena politica per promuovere «la riconciliazione e la stabilità libica. Questo avverrà grazie all’esperienza dell’Italia e alla sua presenza nel Paese con la sua ambasciata», ma anche grazie «all’equidistanza dalle parti» in gioco. Perciò la Libia deve «uscire dalla situazione di emergenza causata dai migranti» e l’Italia è pronta ad aiutare Tripoli per «sviluppare economia, affari, cultura e scambi». Di più: «Ci sono imprenditori italiani che vogliono investire in Libia». È la premessa necessaria per arrivare al punto più importante: «Noi abbiamo proposto centri di accoglienza posti ai confini esterni a sud della Libia per evitare che anche Tripoli diventi un imbuto, come l’ Italia».
SERVONO SEI MILIARDI
Il problema dei flussi migratori va gestito dall’Unione Europea «nell’ambito di un programma libico», replica il vicepremier di Tripoli, Ahmed Maiteeq. E giudica la visita dell’omologo italiano in Libia «eccezionale», una base sulla quale sarà costruito molto lavoro. A partire da un invito ai Paesi europei del Mediterraneo, attraverso l’Italia, a un vertice sull’immigrazione nel mese di settembre a Tripoli. Ma, osserva sempre Maiteeq, «i trafficanti che portano i migranti in Italia sono per noi pericolose bande criminali, che non consentono alla Libia di prendere provvedimenti per una difficile stabilizzazione». Prematuro parlare di altre proposte: «Rifiutiamo categoricamente campi per migranti in Libia: non è consentito dalla legge libica e dalla volontà dei libici».
Eppure non è detto che siamo lontani dall’ obiettivo, spiega a L’Aria che tira, su La7, l’ex ministro della Difesa Ignazio La Russa, perché «in quei Paesi la trattativa è un’arte: il primo “no” significa “vediamo”, il “vediamo” significa “forse” e il “forse” significa sì. Quindi non mi spaventa il fatto che la Libia al momento abbia detto di no agli hotspot in territorio libico. Si tratta di convincerli e l’ Italia ha buoni argomenti per riuscire a farlo». Lo ribadisce anche il presidente dell’ Europarlamento, Antonio Tajani, in un suo intervento sul quotidiano tedesco Die Welt: «Seguendo l’esempio dell’accordo con la Turchia, che ha chiuso la rotta balcanica, l’Ue deve investire almeno sei miliardi di euro per chiudere le rotte del Mediterraneo».
Andrea Morigi

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