LO ZAR HA TRADITO GLI ARMENI PER FARE UN FAVORE AI TURCHI – La nuova avanzata degli azeri nel Nagorno-Karabakh e le rinnovate stragi di crisitani avvengono sotto gli occhi delle truppe russe. Il Cremlino così ringrazia Ankara che non aderisce alle sanzioni
di ANDREA MORIGI da Libero di Mercoledì 17 agosto 2022 – pagina 13 – foto di redazione
Davanti alla minaccia di pulizia etnica nel Nagorno-Karabakh i russi si voltano dall’altra parte. Preferiscono stare alla finestra e chiudere un occhio o due, chiusi nei loro checkpoint per proteggere l’apertura del corridoio infrastrutturale di Lachin, fra l’Azerbaigian e la Repubblica autonoma del Nakhchevan, per raggiungere la Turchia. Così anche ai primi di agosto le truppe di Baku sono riuscite a conquistare il monte Buzduk e alcune alture strategiche circostanti. E nel mentre gli armeni sono costretti a presentare i documenti ai posti di blocco anche cinque volte al giorno per recarsi al lavoro.
L’unica certezza sulla quale Erevan e Stepanakert, le capitali rispettivamente dell’Armenia e dell’Artsakh, poggiavano finora perla sicurezza della loro integrità territoriale era l’alleanza militare con Mosca, nel quadro dell’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva (Csto), al quale partecipano anche Bielorussia, Kazakistan, Kirghizistan e Tagikistan. Era la presenza di 2.000 soldati russi a garantire la tregua, sulla linea del fronte, a partire dal novembre 2020. «Dove ci sono i russi, c’è la pace» e «Il contingente di pace russo sta a guardia della pace», recitano ancora i cartelloni un po’ sbiaditi sulle strade. In effetti, due anni fa le truppe di Mosca avevano aiutato gli armeni a ricostruire le case e rimesso in piedi le infrastrutture distrutte nei combattimenti e avevano speso la loro influenza per riportare negli allevamenti mandrie di bovini fuggiti in territorio azero durante i combattimenti. Tanti sforzi, che però l’impegno bellico russo in Ucraina sta impedendo di proseguire e portare a termine. Ormai mancano perfino le risorse per schierarsi in altri teatri di crisi e resistere ad altri attacchi azeri, spiega Arthur Osipyan, capo del Partito Rivoluzionario dell’Artsakh.
IL SUMMIT DI SOCHI
Poi, il 5 agosto scorso, a Sochi, in Russia, il capo del Cremlino Vladimir Putin e il presidente turco Recep Tayyp Erdogan si sono incontrati per ridare slancio alle relazioni fra i due Paesi, che avevano subito una paralisi dopo l’omicidio dell’ambasciatore russo ad Ankara da parte di un terrorista islamico, il 19 dicembre 2016.
I due leader, il cui riavvicinamento era già in corso a partire dalla vendita di missili S400 russi alle forze armate turche nel 2017, proseguono ora parlando di grano, cibo, fertilizzanti. Considerando la crisi profonda dell’economia turca e l’inflazione che sta riducendo il potere d’acquisto delle famiglie, Erdogan si guarda bene dall’aderire alle sanzioni contro la Russia, per aprirsi l’opportunità di aumentare il volume di investimenti stranieri e portare una boccata d’ossigeno in patria, facendo da hub, cioè da punto di triangolazione commerciale per far arrivare in Russia le merci prodotte in Europa e negli Usa.
CASCHI BLU?
Gli osservatori russi comandati dal generale Andrey Volkov osservano, disattenti, benché il loro ministero della Difesa sostenga che stiano «compiendo tutti gli sforzi necessari per stabilizzare la situazione». In realtà, dopo la guerra del 2020 la popolazione dell’Artsakh si era già vista sottrarre l’11 dicembre i villaggi di Khtsaberd e di Hin Tagher, a cui ha fatto seguito la conquista azera di Parukh il 24 marzo scorso. Meglio allora chiamare caschi blu di altri Paesi meno coinvolti, protesta la popolazione dell’Artsakh, citata dal Moscow Times. La popolazione armena ormai ne ha abbastanza e inizia a organizzare manifestazioni per avvertire il Cremlino.