« Al sesto mese, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nàzaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: “Rallégrati, piena di grazia: il Signore è con te”. A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo. L’angelo le disse: “Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine”. Allora Maria disse all’angelo: “Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?”. Le rispose l’angelo: “Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio. Ed ecco, Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch’essa un figlio e questo è il sesto mese per lei, che era detta sterile: nulla è impossibile a Dio”. Allora Maria disse: “Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola”. E l’angelo si allontanò da lei » (Lc 1,26-38)
Oggi, solennità dell’Annunciazione del Signore, propongo per la vostra contemplazione una “collana” (charizah) di versetti biblici: Gl 2, 21-27; Sof 3,14-18; Zac 2,14-15; 9,9-10. Se li leggiamo in sequenza e li mettiamo in connessione l’uno con l’altro si schiudono davanti a noi i tratti di un mistero stupendo. Il saluto dell’Angelo a Maria, che per noi italiani è diventato ormai il tradizionale “Ave Maria”, ha una densità di significato che può sorprendere, forse perfino sconvolgere, ma che – certamente – deve nutrire in profondità la nostra fede e la nostra preghiera. Quando diciamo “Ave Maria” non esprimiamo qualcosa di corrispondente ad un banale “buongiorno Maria”, ma ci troviamo nel punto di convergenza e di arrivo del profetismo di Israele, proprio là dove le Scritture si compiono e l’annuncio ancora vago, confuso e indeciso diventa realtà, assumendo contorni definiti e luminosi. Questo è proprio uno di quei momenti in cui constatiamo come il Nuovo Testamento sia nascosto nell’Antico e l’Antico diventi chiaro nel Nuovo (Sant’Agostino citato da Dei Verbum, 16). Il saluto abituale dell’ebreo era (ed è tutt’ora) Shalom, pace. Qui invece il saluto prende le forme di un fermo invito alla gioia. Il contesto lo ricollega con chiarezza a quattro passi profetici: Gioele 2,21-27; Sofonia 3,14-18; Zaccaria 2,14-15; 9,9-10. È la gioia “messianica”. Dio, allontanato – scacciato – dal peccato, ha deciso, per la sua infinita misericordia, di non abbandonare l’uomo e di ritornare ad abitare il mondo. La gioia del ritorno è annunciata alla “figlia di Sion”, cioè a Gerusalemme, che impersonifica il popolo di Israele. Il ritorno avviene in un modo a priori inimmaginabile. Dio non ritorna solo con la sua potenza, con la sua gloria, con l’efficacia della sua vittoria sui nemici. Non si limita a suscitare uomini o un uomo che, a nome suo, compia la sua opera, ma « Re d’Israele è il Signore in mezzo a te » (Sof 3,15); « Il Signore tuo Dio in mezzo a te è un salvatore potente » (v. 17); « [Dio] in mezzo a voi ha fatto meraviglie » (Gl 2,26 [ebraico 27]); « ecco, io vengo ad abitare in mezzo a te » (Zaccaria 2,14). In tre di questi passi (quelli di Sofonia e di Gioele) l’espressione “in mezzo” è resa con un termine ebraico (nel qereb קֶרֶב) che – tradotto letteralmente – significa: “nelle viscere”, “nell’utero”. Qui però il “modo di dire” ebraico si fa meravigliosamente letterale! È proprio “nel ventre” di Maria – la “nuova” Figlia di Sion, di cui l’antica era il “tipo” – che il Re di Israele, il forte guerriero salvatore degli umili e dei deboli, viene… È lì e da lì che inaugura il suo Regno di verità e di pace. È lì che – in modo ormai irreversibile – germoglia una vita su cui la morte non avrà più potere. È lì che la forte ed indistruttibile vite (« Io sono la vera vite » Gv 15,1) torna a germogliare per avvolgere dei suoi tralci il mondo e ridargli fecondità nel bene. È lì che torna a brilla la luce contro cui le tenebre non potranno trionfare. Questa luce è apparsa ancora prima di apparire, nella purezza immacolata di Maria e in lei traspare ormai in modo irresistibile. In modo progressivamente evidente, come in un crescendo di luce e bellezza, per cui « tutte le generazioni mi chiameranno beata » (Lc 1,48). Profondamente uniti a Maria e aiutati da lei, accogliamolo anche noi nel nostro cuore: è questa la vera felicità che tutti noi cerchiamo!