« Il primo giorno degli Azzimi, quando si immolava la Pasqua, i suoi discepoli gli dissero: “Dove vuoi che andiamo a preparare, perché tu possa mangiare la Pasqua?”. Allora mandò due dei suoi discepoli, dicendo loro: “Andate in città e vi verrà incontro un uomo con una brocca d’acqua; seguitelo. Là dove entrerà, dite al padrone di casa: “Il Maestro dice: Dov’è la mia stanza, in cui io possa mangiare la Pasqua con i miei discepoli?”. Egli vi mostrerà al piano superiore una grande sala, arredata e già pronta; lì preparate la cena per noi”. I discepoli andarono e, entrati in città, trovarono come aveva detto loro e prepararono la Pasqua. […]. E, mentre mangiavano, prese il pane e recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro, dicendo: “Prendete, questo è il mio corpo”. Poi prese un calice e rese grazie, lo diede loro e ne bevvero tutti. E disse loro: “Questo è il mio sangue dell’alleanza, che è versato per molti. In verità io vi dico che non berrò mai più del frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo, nel regno di Dio”. Dopo aver cantato l’inno, uscirono verso il monte degli Ulivi » (Mc 14,12-17.22-26)
Le parole di Gesù sul pane e sul calice rivelano che la sua morte sulla croce è un sacrificio espiatorio che compie la Pasqua e tutti i sacrifici dell’Antica Alleanza. Lui stesso è – insieme – la vittima del sacrificio e il sommo sacerdote che lo offre (Eb 2,17; 4,14). Lui è anche l’altare su cui il sacrificio è offerto, perché la sua offerta è libera, sgorga interamente e radicalmente dalla sua libertà, dal suo cuore obbediente e amante. « Accogliendo nel suo cuore umano l’amore del Padre per gli uomini, Gesù “li amò sino alla fine” (Gv 13,1) “perché nessuno ha un amore più grande di questo: dare la propria vita per i propri amici” (Gv 15,13). Così nella sofferenza e nella morte, la sua umanità è diventata lo strumento libero e perfetto del suo amore divino che vuole la salvezza degli uomini [cfr. Eb 2,10; Eb 2,17-18; Eb 4,15; Eb 5,7-9]. Infatti, egli ha liberamente accettato la sua passione e la sua morte per amore del Padre suo e degli uomini che il Padre vuole salvare: “Nessuno mi toglie la vita, ma la offro da me stesso” (Gv 10,18). Di qui la sovrana libertà del Figlio di Dio quando va liberamente verso la morte [cfr. Gv 18,4-6; Mt 26,53]. Alla Cena Gesù ha anticipato l’offerta libera della sua vita. La libera offerta che Gesù fa di se stesso ha la sua più alta espressione nella Cena consumata con i Dodici Apostoli [cfr. Mt 26,20] nella “notte in cui veniva tradito” (1Cor 11,23). La vigilia della sua passione, Gesù, quand’era ancora libero, ha fatto di quest’ultima Cena con i suoi Apostoli il memoriale della volontaria offerta di sé al Padre [cfr. 1Cor 5,7] per la salvezza degli uomini: “Questo è il mio Corpo che è dato per voi” (Lc 22,19). “Questo è il mio Sangue dell’Alleanza, versato per molti, in remissione dei peccati” (Mt 26,28) » (Catechismo della Chiesa Cattolica, nn. 609-610). Nell’Eucarestia tutti i principali segni e simboli dell’Antico Testamento e delle tradizioni dei popoli trovano la loro realtà e la loro realizzazione: l’altare è il luogo del sacrificio, ma è insieme mensa e segno di Gesù stesso (per questo viene baciato all’inizio e alla fine della celebrazione). In essa è presente la Parola di Dio, annunciata, offerta e “mangiata” nella santa Comunione (la liturgia della parola e la liturgia eucaristica costituiscono « un solo atto di culto » CCC n. 1346). In essa si realizza in sommo grado il mistero dell’unità: unità con Gesù e unità con il suo mistico (misterioso) Corpo. Ecco perché è al centro della vita della Chiesa e deve essere al centro della nostra vita. È il sacramento dell’Amore.