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Il pensiero del giorno: Gv 21,20-25

3 Giugno 2017 - Autore: Don Piero Cantoni

« Pietro si voltò e vide che li seguiva quel discepolo che Gesù amava, colui che nella cena si era chinato sul suo petto e gli aveva domandato: “Signore, chi è che ti tradisce?”. Pietro dunque, come lo vide, disse a Gesù: “Signore, che cosa sarà di lui?”. Gesù gli rispose: “Se voglio che egli rimanga finché io venga, a te che importa? Tu seguimi”. Si diffuse perciò tra i fratelli la voce che quel discepolo non sarebbe morto. Gesù però non gli aveva detto che non sarebbe morto, ma: “Se voglio che egli rimanga finché io venga, a te che importa?”. Questi è il discepolo che testimonia queste cose e le ha scritte, e noi sappiamo che la sua testimonianza è vera. Vi sono ancora molte altre cose compiute da Gesù che, se fossero scritte una per una, penso che il mondo stesso non basterebbe a contenere i libri che si dovrebbero scrivere » (Gv 21,20-25).

Qui l’attenzione si sposta sull’apostolo Giovanni. Se Pietro dovrà essere il Pastore della Chiesa, anche Giovanni deve “rimanere”. In che senso questo si realizzerà? Esiste una cattiva interpretazione che si è diffusa tra i discepoli: Giovanni non deve morire per essere presente al ritorno glorioso del Signore. Se questo capitolo, come è probabile, è stato aggiunto dopo la morte di Giovanni, è l’occasione giusta per sfatarla e sostituirla con quella corretta. Giovanni rimane, perché rimane la sua testimonianza attraverso le parole del vangelo di cui lui è l’autore e che solo ora viene esplicitamente attribuita a lui: « Questi è il discepolo che testimonia queste cose e le ha scritte, e noi sappiamo che la sua testimonianza è vera ». I due discepoli in fondo “rimangono” entrambi, ciascuno a modo suo: l’uno come il Pastore visibile della Chiesa, l’altro attraverso le parole del suo Vangelo. Entrambi moriranno: l’uno subendo il martirio, l’altro in tarda età, ma continueranno a vivere nella Chiesa l’uno nei suoi successori, i “successori di Pietro”, l’altro nella Parola ascoltata con fede che condurrà alla contemplazione di Gesù. « Dio, attraverso tutte le parole della Sacra Scrittura, non dice che una sola Parola, il suo unico Verbo, nel quale dice se stesso interamente [cfr. Eb 1,1-3]. “Ricordatevi che uno solo è il discorso di Dio che si sviluppa in tutta la Sacra Scrittura ed uno solo è il Verbo che risuona sulla bocca di tutti gli scrittori santi, il quale essendo in principio Dio presso Dio, non conosce sillabazione perché è fuori del tempo” [Sant’Agostino, Enarratio in Psalmos, 103, 4, 1]. Per questo motivo, la Chiesa ha sempre venerato le divine Scritture, come venera il Corpo stesso del Signore. Essa non cessa di porgere ai fedeli il Pane di vita preso dalla mensa della Parola di Dio e del Corpo di Cristo [cfr. Conc. Ecum. Vat. II, Dei Verbum, 21]. Nella Sacra Scrittura, la Chiesa trova incessantemente il suo nutrimento e il suo vigore [cfr. ibid., 24]; infatti attraverso la divina Scrittura essa non accoglie soltanto una parola umana, ma quello che è realmente: la Parola di Dio [cfr. 1Ts 2,13]. “Nei Libri Sacri, infatti, il Padre che è nei cieli viene con molta amorevolezza incontro ai suoi figli ed entra in conversazione con loro” [Conc. Ecum. Vat. II, Dei Verbum, 21] » (Catechismo della Chiesa Cattolica, nn. 102-104). Qui Pietro può essere visto come il modello di tutti i pastori, attraverso cui continua a guidare il gregge il buon Pastore risorto e Giovanni il modello di tutti gli autori sacri, attraverso la cui parola scritta rimane con noi la voce della Parola incarnata ed ormai definitivamente viva di Gesù risorto. « Avete il novo e ‘l vecchio Testamento, e ‘l pastor de la Chiesa che vi guida; questo basti a vostro salvamento » (Paradiso, V, 76-78).

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