« Ancora, il regno dei cieli è simile a una rete gettata nel mare, che raccoglie ogni genere di pesci. Quando è piena, i pescatori la tirano a riva, si mettono a sedere, raccolgono i pesci buoni nei canestri e buttano via i cattivi. Così sarà alla fine del mondo. Verranno gli angeli e separeranno i cattivi dai buoni e li getteranno nella fornace ardente , dove sarà pianto e stridore di denti. Avete compreso tutte queste cose?”. Gli risposero: “Sì”. Ed egli disse loro: “Per questo ogni scriba, divenuto discepolo del regno dei cieli, è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche”. Terminate queste parabole, Gesù partì di là » (Mt 13,47-53).
La chiesa degli inizi era composta, per lo più da gente del popolo, da persone semplici e senza cultura. « Ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli » (Lc 10,21); « Considerate infatti la vostra chiamata, fratelli: non ci sono fra voi molti sapienti dal punto di vista umano, né molti potenti, né molti nobili » (1Cor 1,26). Tuttavia, tra i convertiti della prima ora, tra i “discepoli del regno dei cieli” c’era anche degli scribi, degli esperti della legge, dei profondi conoscitori delle Scritture. Il Signore li esorta a fare bene il loro mestiere di esperti, cioè ad insegnare ai loro fratelli più ignoranti a mettere d’accordo l’antico con il nuovo e il nuovo con l’antico. La tentazione era duplice: ricondurre tutto il nuovo all’antico o accettare il nuovo disprezzando l’antico. La prima fu la tentazione in cui caddero i giudaizzanti e contro cui lottò con tutte le sue forze uno scriba della scuola di Gamaliele, divenuto improvvisamente e miracolosamente discepolo del regno dei cieli, un tale di nome Shaúl (Paolo)… Ma ci fu anche la tentazione di quelli che buttarono via tra le cose irrimediabilmente passate, tra le inutili e dannose “anticaglie”, tutto l’antico Testamento (Marcione). Come facciamo noi oggi a non cadere in questi stessi errori, diversi nelle forme ma identici nella sostanza? Accogliendo umilmente l’insegnamento della Chiesa che è «colonna e sostegno della verità » (1Tim 3,15), non solo quando “definisce”, minacciando di cacciar fuori chi non obbedisce, ma anche quando insegna in modo ordinario. Il discepolo “docile”, cioè insegnabile, non è quello che continua a contestare costringendo l’insegnante a urlare e a minacciare, ma quello che accoglie con attenzione l’insegnamento, facendo anche delle domande in modo umile e rispettoso. L’insegnamento della Chiesa è quello che i figli della Chiesa considerano “normale”. Attenzione però: “normale” non è quello che fanno tutti, ma quello che è “secondo la norma”. La Chiesa non copia i regimi umani; come non è mai stata una monarchia assoluta, così oggi non è diventata una democrazia a maggioranza puramente numerica… Amiamo la Chiesa nostra madre che attraverso le vicissitudini della storia continua ad annunciarci « Gesù […] lo stesso ieri oggi e per sempre » (Eb 13,8)! Il concetto di progresso è essenziale per il Cristianesimo e il Cattolicesimo. Il mito del Progresso di stampo illuminista è la contraffazione e la secolarizzazione di una idea cristiana. C’è un assioma fondamentale della vita spirituale che dice: « in vita christiana non progredi est retrogadi [nella vita cristiana non progredire vuol dire regredire] ». Questo assioma però vale per tutti gli aspetti della vita cristiana, anche per la vita sociale, quindi per tutta la vita della Chiesa. Ascoltiamo le parole di un sapiente di cui è in corso il processo di beatificazione: « Il concetto di evoluzione del Regno di Dio sulla terra non è affatto una novità: esso è antico almeno come il Vangelo. Già indicato nella misteriosa pietra di Daniele (2,34-35), si trova esplicitamente affermato nei tre Sinottici con la meravigliosa parabola del “granello di senapa” che deve diventare un albero frondoso [Mt 13,31-32; Mc 4,31-32; Lc 13,19]. Gli stessi Apostoli lo sviluppano in mille modi, considerando la Chiesa ora come una casa in costruzione, come un tempio vivo e destinato a crescere, oppure come una città che si sta edificando e ingrandendo [1Pt 2,5; 1Cor 3,9 ss.]; ora come un gregge [1Pt 5,2] o come una campo seminato che deve portar frutto [1Cor 3,7-9]; infine come un organismo vivente che in tutto – per omnia – deve crescere, svilupparsi e perfezionarsi fino a giungere alla finale pienezza dell’“Uomo perfetto” [Ef 4,11-16] » (Juan Gonzalez Arintero, O.P., Desenvolvimiento y vitalidad de la Iglesia, I. Evolucion organica, Madrid: Fundación Universitaria Española, 1974, p. 47). Alla pietra di Daniele, che rotola e frantuma tutti gli ostacoli, si può accostare anche il carro visto da Ezechiele (cap. 1). A questa concezione si oppone il fissismo che è tipico sia dei fratelli Protestanti che dei fratelli Ortodossi. Per i Protestanti la verità di Cristo si è ben presto corrotta. La Riforma vuole essere un ritorno alla purezza delle origini che fa piazza pulita di tutte le aggiunte operate dalla Chiesa cattolica. Tutto ciò che si aggiunge alla purezza delle origini è corruzione della verità. Quando è cominciata la corruzione? Per alcuni ci sono già le tracce negli scritti canonici della Bibbia. Per gli Ortodossi tutta quanto è stato detto nei primi sette concili e spiegato dai santi Padri dei primi secoli. A questo nulla deve essere aggiunto. Lo sviluppo dottrinale dell’Occidente è visto come una corruzione. Ma così si considera la Chiesa come una realtà statica. Il corpo della Chiesa diventa una mummia o – peggio – un cadavere. Dice il Signore: «Quando … verrà lo Spirito di verità, egli vi guiderà alla verità tutta intera» (Gv 16,13). A questi errori se ne è aggiunto un altro, per qualche verso peggiore dei precedenti: l’evoluzionismo modernistico o progressismo. Esso consiste nel non intendere più il progresso come la crescita di una stessa realtà, ma come un continuo mutamento di identità. Il progresso si farebbe dialetticamente, per cui lo stadio successivo consiste nella negazione di quello precedente. Questa ideologia è figlia della filosofia moderna (Kant-Hegel) e una evoluzione dialettica del fissismo protestante. È evidente invece che si può parlare di progresso solo per una realtà che rimane sostanzialmente la stessa. Se cambia intrinsecamente non si deve più parlare di progresso, ma di corruzione. Questo errore però lo si combatte non con un errore di segno contrario, ma con la verità. Alla proposizione «tutto cambia», non si deve contrapporre la proposizione contraria «tutto non cambia», ma la contraddittoria «non tutto cambia». L’uomo si distingue dall’animale proprio perché è capace di «astrarre», cioè di distinguere il segno sensibile dall’idea che racchiude. Il Computer è assolutamente incapace di operare questo riconoscimento in modo nativo. L’astrazione implica una facoltà spirituale che si chiama «intelligenza». Uno degli errori più diffusi al giorno d’oggi si chiama «nominalismo», per cui non si fa distinzione fra le parole e i concetti. Se due parole sono uguali il concetto deve essere uguale, se due parole sono diverse i concetti devono essere diversi. Il linguaggio smentisce questa pretesa. Ci sono dei filosofi nominalisti che negano la possibilità di qualunque traduzione da una lingua all’altra, ma il buon senso li smentisce. Così il cristiano è in grado di riconoscere la stessa fede e le stesse realtà anche in formulazioni diverse. Sia i fissisti che i progressisti mancano di intelligenza. Gli uni negando l’evidenza della storia della Chiesa che ci mette davanti a cambiamenti continui. Gli altri negando l’identità che c’è attraverso i cambiamenti e rimanendo prigionieri delle forme sensibili. Anche la Scrittura, letta senza questa intelligenza è piena di contraddizioni. Per es.: «Chi non è con me è contro di me» (Mt 12,30) e «Chi non è contro di noi è per noi» (Mc 9,40). Oppure «l’uomo non è giustificato dalle opere della legge ma soltanto per mezzo della fede» (Gal 2,16) e «l’uomo viene giustificato in base alle opere e non soltanto in base alla fede» (Gc 2,24). Ma si potrebbero portare una infinità di esempi! È chiaro – e si può dimostrare – che le parole nell’uno e nell’altro testo non hanno lo stesso significato. Per arrivare a ciò però ci vuole l’intelligenza di distinguere la parole (come suono e come segno) dal suo significato. Se voi cercaste di dimostrare ad un uomo di quarant’anni che non è più lui quando aveva sei anni, mostrandogli delle fotografie (testimonianze inoppugnabili!) o dei certficati sulla sua statura o testimonianze sul suo carattere diverso, ecc. perdereste il vostro tempo. «No No, io sono sempre io!» ripeterebbe imperterrito. Non c’è testimonianza che tenga contro il senso della propria identità che sta a monte di qualunque ragionamento. Se un uomo perde il senso della propria identità, allora vuol dire che è affetto da una grave malattia psichica. Così anche la Chiesa ha il senso della propria identità. L’organo che ne è garante è il magistero. In caso di dubbio il fedele non deve fidarsi del proprio modo di vedere privato, ma affidarsi al magistero che sa distinguere con sicurezza se una forma, un rito, una espressione, un comportamento significano ancora la fede oppure no. Non è detto che una forma o una espressione decise dal magistero siano sempre il meglio che si può fare in quel contesto. Così come un maestro non trova sempre le parole le più adatte per spiegare. L’importante però è capire e sarebbe sciocco che uno scolaro rifiutasse l’insegnamento con questo pretesto! Un capo va obbedito anche quando si potrebbe immaginare un ordine migliore (col rischio di sbagliare anche noi nel giudicare così…). Quando il magistero decide qualcosa per tutta la Chiesa sappiamo che non può tradire la sua identità e tanto basta. Camminiamo perciò con fiducia incontro al Signore che viene, consapevoli che il demonio ci tenta in tanti modi: suggerendoci di fermarci e guardare indietro per farci diventare statue di sale (cfr. Gen 19,26) oppure di correre all’impazzata senza preoccuparci che la direzione sia giusta, vera e buona.