« Uscito dalla sinagoga, entrò nella casa di Simone. La suocera di Simone era in preda a una grande febbre e lo pregarono per lei. Si chinò su di lei, comandò alla febbre e la febbre la lasciò. E subito si alzò in piedi e li serviva. Al calar del sole, tutti quelli che avevano infermi affetti da varie malattie li condussero a lui. Ed egli, imponendo su ciascuno le mani, li guariva. Da molti uscivano anche demòni, gridando: “Tu sei il Figlio di Dio!”. Ma egli li minacciava e non li lasciava parlare, perché sapevano che era lui il Cristo. Sul far del giorno uscì e si recò in un luogo deserto. Ma le folle lo cercavano, lo raggiunsero e tentarono di trattenerlo perché non se ne andasse via. Egli però disse loro: “È necessario che io annunci la buona notizia [εὐαγγελίσασθαί] del regno di Dio anche alle altre città; per questo sono stato mandato”. E andava predicando nelle sinagoghe della Giudea » (Lc 4,38-44).
“Vangelo”, “euanghélion“, viene comunemente tradotto con “buona notizia”. È una traduzione certamente corretta, ma che rende il suo contenuto in modo riduttivo. Il termine infatti designa il decreto di un sovrano: non è una pura e semplice “notizia”, ma un qualcosa che – bello o brutto che sia – cambia le cose, perché emana da una autorità suprema. Questo decreto infatti parla di un regno che si afferma: evidentemente qui regno non vuol dire “territorio”, ma piuttosto sovranità. Qualcosa di “dinamico”. Qualcuno – Dio – riafferma efficacemente la sua sovranità. La parola regno ricorre 122 volte in tutto il Nuovo Testamento. Di queste 122 ricorrenze 99 sono nei Vangeli sinottici e 90 ricorrono sulla bocca di Gesù. Sembrerebbe dunque che i Vangeli non parlino tanto di Gesù, quanto del regno. La Chiesa ha fatto oggetto della sua predicazione Gesù, annunciandolo come Figlio di Dio e Dio lui stesso per natura, mentre il Gesù dei Vangeli sembra piuttosto annunciare la venuta del regno di Dio. Molti interpreti allora hanno detto: vedete che c’è una differenza? Un conto è il Gesù della storia, il quale ha predicato il regno di Dio e un conto è il Cristo della fede, frutto della rielaborazione della Chiesa. La proposta sembra allettante nella sua semplicità. In che cosa consisterebbe il regno annunciato dal “vero” Gesù? In una morale individualistica che si contrappone alla concezione legalistica e cultuale degli ebrei del tempo di Gesù? Nella fine imminente del mondo? In uno stato di cose in cui finalmente «regnano la pace, la giustizia e la salvaguardia della creazione»? Il problema è che ciascuna di queste interpretazioni si trova costretta a fare quello che alla scienza onesta non è mai consentito: selezionare i fatti alla luce della teoria, per poi fondarla sulla base dei fatti così selezionati… Si racconta che al termine di una lezione uno studente chiese al prof. Hegel: «Professore, i fatti però contraddicono le sue teorie!», per ricevere questa sconcertante risposta: «tanto peggio per i fatti!». Purtroppo Hegel ha fatto – anche in questo – scuola. Se invece si interpreta il regno come identico a Gesù stesso; se si comprende che il regno di Dio si sta affermando nella persona e nella vita di Gesù, che si sviluppa nella Chiesa e mediante essa, allora il quadro si fa coerente e tutti i pezzi del “puzzle” si compongono in modo naturalmente armonioso… Certamente è vero che il Regno sta al centro del messaggio di Gesù, ma una lettura attenta dei Vangeli suggerisce questa domanda: Gesù è solo un messaggero o è lui stesso il messaggio? Si può dire che tutto il “Gesù di Nazaret” di Joseph Ratzinger ruota attorno a questa domanda molto chiara ed esplicita. La risposta della fede – la fede della Chiesa e la fede dei semplici – è altrettanto chiara ed esplicita: Gesù è il Figlio di Dio – consostanziale con il Padre – che si è fatto uomo ed è morto e risorto per noi, perché anche noi possiamo – liberati dal peccato – diventare figli di Dio. Con questo libro però – in ossequio al programma di mettere in nuova luce l’armonia strutturale tra fede e ragione – questi asserti vengono assunti come presupposti di una interpretazione storica che non teme di misurarsi, ad armi pari, con i più raffinati percorsi del metodo storico critico. Come le tessere di un mosaico o i pezzi di cartone di un puzzle non hanno senso staccati gli uni dagli altri e possono prendere un senso fuorviante se uniti solo a piccoli gruppi, così i passi dei Vangeli e degli altri scritti della Bibbia rivelano il loro senso più profondo e più autentico solo se visti nell’insieme. Così ci sono passi in cui Gesù può sembrare un predicatore del Regno di Dio imminente, come un qualunque profeta. Ci sono passi in cui sembra parlare del regno come qualcosa di attuale e di interiore, come un qualunque “guru”. Ma se questi passi li leggiamo “insieme” essi si illuminano vicendevolmente. Gesù è – secondo una famosa espressione di Origene – l’autobasiléia, il Regno stesso in persona. Cioè in lui Dio si fa presente e agisce. Agisce già da ora, ma la sua azione è misteriosa, per cui bisogna essere pronti per discernerla, tant’è vero che essa diventa evidente in qualcosa che non ha le apparenze della gloria e della potenza di Dio: la sua passione e la sua morte. «Il regno di Dio non viene in modo da attirare l’attenzione, e nessuno dirà: Eccolo qui, o: eccolo là. Perché il regno di Dio è in mezzo a voi!» (Lc 17,21). «È in mezzo a voi», non è dunque qualcosa di solo “imminente”. Non è tale «da attirare l’attenzione», ma non è neppure qualcosa di solo “interiore”, perché Gesù, nel contesto della trasfigurazione, dice che: «In verità vi dico: vi sono alcuni qui presenti, che non morranno senza aver visto il regno di Dio venire con potenza» (Mc 9,1). Questa potenza però – che si annuncia esplicitamente come la potenza di uno che parla a nome di Dio e che con Dio si identifica, al punto da dire «ti sono rimessi i tuoi peccati» (Mc 2,5; Mt 9,2; Lc 5,20) oppure «avete inteso che fu detto… ma io vi dico» (Mt 5,21-22) – è tale da operare in pienezza solo nel mistero del massimo abbassamento della passione e della morte, perché quello stesso Figlio dell’uomo che deve venire in potenza, «deve soffrire molto ed essere disprezzato» (Mc 9,12). Se tutto questo è solo frutto della rielaborazione post-pasquale di una anonima comunità primitiva, allora essa era comporta da geni teologici di cui però non c’è traccia nei documenti. È molto più sensato e ragionevole pensare che qualcosa di grande e di inaudito, in termini di parole e di fatti, stia a monte di tutti questi discorsi in modo da renderne plausibile, ragionevole, il tono e la portata. «[…] si è sviluppato in estesi circoli della teologia, in modo particolare in ambito cattolico, una reinterpretazione secolaristica del concetto di “regno”, che dà il via a una nuova visione del cristianesimo, delle religioni e della storia in generale e con questa profonda trasformazione vuole rendere il presunto messaggio di Cristo nuovamente accettabile. Si asserisce che prima del Concilio avrebbe dominato l’ecclesiocentrismo: la Chiesa sarebbe stata proposta come centro del cristianesimo. Poi si sarebbe passati al cristocentrismo, presentando Cristo come il centro di tutto. Ma – si dice – non solo la Chiesa separa, anche Cristo appartiene solo ai cristiani. Pertanto dal cristocentrismo si sarebbe saliti al teocentrismo, e ci si sarebbe in questo modo avvicinati già di più alla comunità delle religioni. Con ciò, però, non sarebbe ancora raggiunta la meta, perché anche Dio può essere un elemento di divisione tra le religioni e tra gli uomini. Per questo bisognerebbe ora fare il passo verso il regnocentrismo, verso la centralità del regno. Questo, appunto, sarebbe stato in definitiva il cuore del messaggio di Gesù e ciò costituirebbe la via giusta per unire finalmente le forze positive dell’umanità nel cammino verso il futuro del mondo. “Regno” significherebbe semplicemente un mondo in cui regnano la pace, la giustizia e la salvaguardia della creazione» (Ibidem, p. 76-77). Il Regno è Gesù e se lo accolgo nella fede il Regno incomincia in me e – attraverso di me – si diffonde nel mondo!