« Sei giorni dopo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li condusse su un alto monte, in disparte, loro soli. Fu trasfigurato davanti a loro e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche. E apparve loro Elia con Mosè e conversavano con Gesù. Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: “Rabbì, è bello per noi essere qui; facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia”. Non sapeva infatti che cosa dire, perché erano spaventati. Venne una nube che li coprì con la sua ombra e dalla nube uscì una voce: “Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo!”. E improvvisamente, guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo, con loro. Mentre scendevano dal monte, ordinò loro di non raccontare ad alcuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell’uomo fosse risorto dai morti. Ed essi tennero fra loro la cosa, chiedendosi che cosa volesse dire risorgere dai morti » (Mc 9,2-10).
La Trasfigurazione è l’evento che apre la seconda parte del vangelo di Marco, quella incentrata sulla passione. La prima parte era stata aperta dal Battesimo. Esiste quindi un legame tra queste due “aperture”. Entrambi questi eventi sono infatti profetici e trinitari. Il Battesimo svela il compito messianico di Gesù; la Trasfigurazione la modalità – morte e risurrezione – con cui lo porterà a termine.
Qui troviamo le uniche parole del Padre ricordate nei vangeli (« Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo! »), che riprendono la promessa di Mosè riportata nel Deuteronomio: « Il Signore, tuo Dio, susciterà per te, in mezzo a te, tra i tuoi fratelli, un profeta pari a me. A lui darete ascolto » (Dt 18,15). Queste parole hanno un significato nella loro unicità: tutto quello che Dio Padre ha da dire all’umanità è racchiuso nella persona di Gesù, verbo incarnato. Lui dobbiamo “ascoltare”, cioè obbedire, accettando di ri-vivere la sua vita. È una vita di gloria e di luce, ma comprende, come passaggio necessario, la croce.
Davanti a Pietro, Giacomo e Giovanni, Gesù si è immerso in una profonda conversazione con Mosé e con Elia, cioè con tutto l’Antico Testamento, con il misterioso percorso che il Padre aveva tracciato nella storia di Israele per tutta l’umanità. In quel momento la storia del popolo eletto e la storia dell’umanità scorrevano davanti agli occhi stupiti e abbacinati di Pietro, Giacomo e Giovanni, tutta compresa in quel misterioso colloquio del Figlio di Dio con i suoi profeti. Ma quale era il tema centrale della conversazione?
«Parlavano della sua dipartita che avrebbe portato a compimento a Gerusalemme» (Lc 9,31), cioè della sua morte di croce. I discepoli rimangono storditi davanti a tanta gloria, ma anche straordinariamente affascinati. Riuscirà la Croce di Gesù ad affascinare anche noi? Perché tutto sta lì: nell’accettare con gioia la volontà di Dio nella nostra vita e sulla nostra vita e dunque nel portare la nostra croce di ogni giorno. Non per forza, ma volentieri. Non trascinando ma accogliendo. Non sopportando ma abbracciando. In una parola: amando. «L’amore non è amato» gridava san Francesco. Amare la Croce è amare l’Amore.