« Per il resto, fratelli, vi preghiamo e supplichiamo nel Signore Gesù affinché, come avete imparato da noi il modo di comportarvi e di piacere a Dio – e così già vi comportate -, possiate progredire ancora di più. Voi conoscete quali regole di vita vi abbiamo dato da parte del Signore Gesù. Questa infatti è volontà di Dio, la vostra santificazione: che vi asteniate dall’impurità, che ciascuno di voi sappia trattare il proprio corpo con santità e rispetto, senza lasciarsi dominare dalla passione, come i pagani che non conoscono Dio; che nessuno in questo campo offenda o inganni il proprio fratello, perché il Signore punisce tutte queste cose, come vi abbiamo già detto e ribadito. Dio non ci ha chiamati all’impurità, ma alla santificazione. Perciò chi disprezza queste cose non disprezza un uomo, ma Dio stesso, che vi dona il suo santo Spirito » (1Ts 4,1-8).
La prima lettera di san Paolo ai Tessalonicesi è, con ogni probabilità, il primo documento scritto che noi abbiamo del cristianesimo nascente, redatto nel 50/51. L’argomento centrale della lettera è la fine del mondo. Da non intendersi però in senso strettamente cronologico, ma in senso sostanziale, cioè “kairologico”. Il compimento di tutta quanta la storia c’è già stato, è la venuta della Sapienza eterna di Dio in mezzo a noi, la quale ha compiuto il gesto perfetto, dopo il quale non c’è più da attendersi una perfezione più grande: « Venuta la sua Ora [cfr. Gv 13,1; Gv 17,1 ], egli vive l’unico avvenimento della storia che non passa: Gesù muore, è sepolto, risuscita dai morti e siede alla destra del Padre “una volta per tutte” (Rm 6,10; Eb 7,27; Eb 9,12). È un evento reale, accaduto nella nostra storia, ma è unico: tutti gli altri avvenimenti della storia accadono una volta, poi passano, inghiottiti nel passato. Il Mistero pasquale di Cristo, invece, non può rimanere soltanto nel passato, dal momento che con la sua morte egli ha distrutto la morte, e tutto ciò che Cristo è, tutto ciò che ha compiuto e sofferto per tutti gli uomini, partecipa dell’eternità divina e perciò abbraccia tutti i tempi e in essi è reso presente. L’evento della croce e della Risurrezione rimane e attira tutto verso la Vita » (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1085). Per capire bene questo passo di san Paolo è necessario rivedere la traduzione. Potrei accumulare una serie di argomenti di carattere storico-critico, ma preferisco riportare la traduzione al modello costituito dalla Neovulgata che costituisce oggi il testo ufficiale della Chiesa latina. San Paolo riassume qui i comportamenti fondamentali che debbono caratterizzare la vita del cristiano: la purezza nelle questioni concernenti la sessualità e l’onestà in quello che riguarda gli affari. Il versetto 6 deve infatti essere tradotto così: « nessuno negli affari offenda o inganni il proprio fratello ». Il mettere accanto la purezza sessuale e l’onestà nelle questioni di denaro è infatti una caratteristica di san Paolo: « Fate morire dunque ciò che appartiene alla terra: impurità, immoralità, passioni, desideri cattivi e quell’avarizia che è idolatria » (Col 3,5); « Così, diventati insensibili, si sono abbandonati alla dissolutezza e, insaziabili, commettono ogni sorta di avarizia » (Ef 4,19); « Di fornicazione e di ogni specie di impurità o di avarizia neppure si parli fra voi – come deve essere tra santi » (5,3). Anche l’autore della lettera agli Ebrei, un fedelissimo discepolo di san Paolo, si muove in questo ambito: « I fornicatori e gli adùlteri saranno giudicati da Dio. La vostra condotta sia senza avarizia » (Eb 13,4-5); « Non vi sia nessun fornicatore, o profanatore, come Esaù che, in cambio di una sola pietanza, vendette la sua primogenitura » (12,16). L’avaro è chiamato profanatore e avvicinato ad Esaù che, per un piatto di lenticchie, vende la primogenitura. L’avaro infatti per la cupidigia delle cose di questo mondo disprezza le realtà eterne ed è quindi un profanatore della sua vocazione ad essere “figlio di Dio”. È una questione che può apparire sottile, ma è di grande importanza. Lussuria e avarizia sono strettamente legate: dietro ad entrambe di loro c’è il desiderio del possesso per sé, il desiderio di avere potere sul piacere e sul denaro. È quello che Tolkien chiamerà “l’anello del potere”. Un anello che rende schiavi e infelici. Rende degli spettri. La felicità, che tutti cerchiamo, la si trova solo nel dono. È qualcosa che che trovi solo se non la cerchi per te stesso, ma per gli altri.