« Paolo, apostolo di Cristo Gesù per volontà di Dio e secondo la promessa della vita che è in Cristo Gesù, a Timòteo, figlio carissimo: grazia, misericordia e pace da parte di Dio Padre e di Cristo Gesù Signore nostro. Rendo grazie a Dio che io servo, come i miei antenati, con coscienza pura, ricordandomi di te nelle mie preghiere sempre, notte e giorno. Mi tornano alla mente le tue lacrime e sento la nostalgia di rivederti per essere pieno di gioia. Mi ricordo infatti della tua schietta fede, che ebbero anche tua nonna Lòide e tua madre Eunìce, e che ora, ne sono certo, è anche in te. Per questo motivo ti ricordo di ravvivare il dono di Dio, che è in te mediante l’imposizione delle mie mani. Dio infatti non ci ha dato uno spirito di timidezza, ma di forza, di carità e di prudenza. Non vergognarti dunque di dare testimonianza al Signore nostro, né di me, che sono in carcere per lui; ma, con la forza di Dio, soffri con me per il Vangelo » (2Tm 1,1-8).
Oggi celebriamo la memoria di Timoteo e Tito, due strettissimi collaboratori di san Paolo. Luca negli Atti nomina Timoteo sei volte, mentre Paolo nelle sue lettere fa riferimento a lui ben diciotto volte, oltre alle due lettere a lui indirizzate. Nato in Asia minore da padre greco e da madre ebrea e incontrato da san Paolo durante il suo secondo viaggio missionario, fu scelto da lui come suo compagno e fu fatto circoncidere per rispetto dei Giudei e dei Giudeo-cristiani di quelle zone (At 16,1-3).
Un chiaro segno che, dopo lo scontro con san Pietro ad Antiochia (Gal 2,11), san Paolo ne aveva in fondo accolto e condiviso le ragioni. Timoteo è tra i mittenti delle lettere a Filemone, ai Filippesi e della seconda lettera ai Corinzi. Quando san Paolo scrive la lettera ai Romani, nei saluti finali aggiunge anche quelli di Timoteo (cfr. Rm 16,21).
Dalla lettera agli Ebrei ricaviamo che conobbe un periodo di prigionia: « Sappiate che il nostro fratello Timòteo è stato rilasciato » (Eb 13,23), mentre Eusebio di Cesarea, nella sua Storia Ecclesiastica ci trasmette la notizia che divenne vescovo di Efeso, dove subì il martirio per lapidazione. Le sue reliquie furono conservate dapprima a Costantinopoli e successivamente, dal 1239, nella cattedrale di Termoli dove sono venerate attualmente.
Tito era un greco di origine pagana, forse nativo di Corinto (cfr. At 18,7), della cui conversione è responsabile lo stesso san Paolo (« mio vero figlio nella medesima fede » Tt 1,4), posto da lui a capo della chiesa di Creta (v. 5). Le sue reliquie sono venerate a Candia, sulla stessa isola. L’espressione usata da san Paolo, che è in prigione e sul punto di lasciare questa vita, a proposito di Timoteo « figlio carissimo » riecheggia quella dell’Antico Testamento « figlio unico » o « primogenito » (Gen 22,2.12.16) con il diritto di succedere al padre e di ricevere la sua eredità. Da quel momento infatti Timoteo porterà avanti la missione di Paolo e già lo sta facendo a Efeso. Anche se Paolo uso l’espressione τέκνον – bambino e non quella di figlio, non è possibile pensare che fosse estranea alle sue intenzioni l’idea di successione: « ti ricordo di ravvivare il dono di Dio, che è in te mediante l’imposizione delle mie mani ».
La successione apostolica non è la trasmissione di un’autorità solo giuridicamente intesa ma di un potere vitale. Perché questo è il Vangelo: non solo una dottrina, ma soprattutto una vita. Attenzione però, non come dicevano i modernisti: una vita e quindi non una dottrina, ma una dottrina che è, inseparabilmente, una vita. Ecco perché questa trasmissione, quando è compiuta con l’autorità degli apostoli, o dei loro successori (o comunque in comunione con loro) è sempre vivente e comporta un potere “esorcistico”, quello di scacciare la menzogna e l’anti-vita del Demònio (« padre della menzogna» e « omicida fin da principio» Gv 8,44).
Il Santi del giorno: San Timoteo e Tito, Vescovi