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Il pensiero del giorno

14 Aprile 2019 - Autore: Don Piero Cantoni

« […] egli, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini. Dall’aspetto riconosciuto come uomo, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce. Per questo Dio lo esaltò e gli donò il nome che è al di sopra di ogni nome, perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra, e ogni lingua proclami: “Gesù Cristo è Signore!”, a gloria di Dio Padre » (Fil 2,3-8).


L’essere servo degli altri, il considerare gli altri superiori a noi e quindi il guardarli dal basso in alto è un atteggiamento profondamente cristiano. Il guardare diritto all’interesse di chi ci sta di fronte mettendo da parte il nostro – non semplicemente sommandolo al nostro (anche…) – è l’essenza di un autentico spirito di servizio. Questo atteggiamento tipicamente cristiano ha lasciato il segno in formule di saluto che, nel nostro Occidente, ci sono familiari: pensiamo al nostro “ciao”, che viene dal veneto “s’ciavo” e vuol dire: “sono tuo schiavo/servo”.

Dall’italiano si è poi diffuso in un gran numero di lingue europee. O al “servus” diffuso nell’area mitteleuropea. Una parola che rimane per lo più priva di realtà, una pura espressione retorica, certo; ma la soluzione migliore qual è? Farla sparire del tutto o sforzarsi di ridarle un significato reale? Servo, serva sono parole molto antipatiche per l’uomo moderno. Sono qualcosa di paragonabile ad un insulto. È per questo che si cerca di farle sparire dall’uso comune. Così al posto di “donna di servizio” si usa “collaboratrice domestica”.

Ed è giusto fare così, proprio nella misura in cui il termine è diventato offensivo. Ci dobbiamo però chiedere: perché è diventato offensivo? Che cosa ci sta dietro a questa evoluzione del significato? Qualcuno penserà: ‘è solo una questione di parole’. Il che è vero, ma non bisogna mai dimenticare però che le parole contano, perché sono le portatrici principali di quello che l’uomo ha nel cuore e ripetute con consapevolezza contribuiscono a forgiare gli atteggiamenti del cuore. Se leggiamo con attenzione la Bibbia scopriamo senza troppa difficoltà che la parola servo o serva, ha spesso un significato molto molto positivo.

Troviamo in particolare nel profeta Isaia quelli che gli esegeti hanno convenuto chiamare i quattro “canti del servo del Signore”, al cui centro sta la figura misteriosa di un “servo” che attraversa esperienze di terribile umiliazione e sofferenza, ma, proprio attraverso di esse e mediante esse, si rivela un servitore perfetto di Dio, raggiungendo così gloria, trionfo e vittoria. I cristiani non hanno tardato a riconoscere in questa figura un’immagine del Messia e a riconoscere nelle vicende descritte dai canti una prodigiosa prefigurazione di quello che è successo storicamente nella vita di Gesù.

L’espressione “servo del Signore” è un chiaro titolo messianico che esprime in grande profondità l’intima essenza della missione e della natura del Messia. D’altra parte troviamo questo riconoscimento sulla bocca di Gesù stesso: « […] il Figlio dell’uomo, […] non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti » (Mt 20,28); « […] chi è più grande, chi sta a tavola o chi serve? Non è forse colui che sta a tavola? Eppure io sto in mezzo a voi come colui che serve » (Lc 22,27).

Pensiamo ad una mamma con in braccio il suo bimbo: chi è più importante in autorità? Certamente la mamma. Chi soprattutto viene servito? Il bambino certamente. Servire allora non è umiliante, perché svela la vera grandezza. Chi non serve nessuno, perché è prigioniero del suo io e del suo orgoglio in realtà “non serve a niente”…


  1. Il Santo del giorno: Domenica delle palme

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