« Non prego solo per questi, ma anche per quelli che crederanno in me mediante la loro parola: perché tutti siano una sola cosa; come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi, perché il mondo creda che tu mi hai mandato. E la gloria che tu hai dato a me, io l’ho data a loro, perché siano una sola cosa come noi siamo una sola cosa. Io in loro e tu in me, perché siano perfetti nell’unità e il mondo conosca che tu mi hai mandato e che li hai amati come hai amato me. Padre, voglio che quelli che mi hai dato siano anch’essi con me dove sono io, perché contemplino la mia gloria, quella che tu mi hai dato; poiché mi hai amato prima della creazione del mondo. Padre giusto, il mondo non ti ha conosciuto, ma io ti ho conosciuto, e questi hanno conosciuto che tu mi hai mandato. E io ho fatto conoscere loro il tuo nome e lo farò conoscere, perché l’amore con il quale mi hai amato sia in essi e io in loro » (Gv 17,20-26).
La partecipazione alla comunione divina che Gesù offre non è limitata al primo gruppo di discepoli ma include tutti i discepoli, va al di là del luogo e del tempo. La loro descrizione come « quelli che crederanno in me mediante la loro parola » implica che il compito dei suoi discepoli sarà quello di far conoscere Gesù e il Padre (Mt 18,19). Gesù ha donato ai discepoli la Parola del Padre, che è lui stesso (Gv 17,14) e questa stessa parola, che rimane nei discepoli (Gv 8,31; 15,7), continua a risuonare nel mondo e a incontrare gli uomini attraverso la loro testimonianza.
La preghiera di Gesù che i suoi discepoli « siano una sola cosa » ci fa comprendere che questa partecipazione all’unità va al di là del tempo e dello spazio, perché è la stessa comunione che intercorre tra il Padre e il Figlio nell’amore dello Spirito Santo: « come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi ». Questo legame invisibile diventa visibile nell’unità della Chiesa. Nella misura in cui quest’unità viene percepita attraverso le sue debolezze terrene e storiche la Chiesa diventa testimone dell’unità di Dio ed illumina il mondo che resiste alla grazia della fede, preso com’è da tutte le sue “dissociazioni”, divisioni, incomprensioni, contrapposizioni rabbiose in cui all’odio si risponde con l’odio.
Quando la luce penetra nelle tenebre, il mondo riprende a vivere e a sperare. È come se il cielo scendesse sulla terra. La Chiesa infatti è il cielo in terra. In molte delle nostre chiese di mattoni, che sono state realizzate come simbolo della Chiesa di uomini, il soffitto appare come un cielo aperto con tanti angioletti che guardano in basso divertiti… Entrare in Chiesa, se lo facciamo con fede, vuol dire sperimentare la protezione di una famiglia composta di angeli e di santi, che rimanda, come al suo principio trascendente, al Padre, al Figlio e al loro Amore. Convertirsi vuol dire entrare in Chiesa: già ora entrare nella Chiesa terrena, celeste ed eterna, che fanno tutt’uno.
Il Santo del giorno: San Norberto, Vescovo