« […] ti esorto, io, Paolo, così come sono, vecchio, e ora anche prigioniero di Cristo Gesù. Ti prego per Onèsimo, figlio mio, che ho generato nelle catene […]. Te lo rimando, lui che mi sta tanto a cuore. Avrei voluto tenerlo con me perché mi assistesse al posto tuo, ora che sono in catene per il Vangelo. Ma non ho voluto fare nulla senza il tuo parere, perché il bene che fai non sia forzato, ma volontario. Per questo forse è stato separato da te per un momento: perché tu lo riavessi per sempre; non più però come schiavo, ma molto più che schiavo, come fratello carissimo, in primo luogo per me, ma ancora più per te, sia come uomo sia come fratello nel Signore. Se dunque tu mi consideri amico, accoglilo come me stesso » (Fm 9b-10.12-17).
La lettera a Filemone più che una lettera vera e propria è un biglietto. Possiamo pensare che mentre la scriveva san Paolo non aveva certamente in mente che queste sue parole sarebbe state lette o ascoltate da miliardi di fedeli lungo i secoli come Parola di Dio. Ci possiamo chiedere perché Dio ha voluto che questo scritto di occasione entrasse a far parte delle Sacre Scritture e fosse letto con solennità in Chiesa e con devozione da generazioni di cristiani nelle loro case.
I motivi possono essere tanti e io qui ne raccolgo solo qualcuno. Prima di tutto credo che ne emerga uno potente – direi prepotente -: l’amore non è un rapporto astratto, non si può e non si deve ridurre solo all’applicazione ad un caso particolare di un’idea universale. Un amore inteso così sarebbe ideologia, che è la falsificazione più radicale del vero amore. L’amore è sempre un rapporto personale in cui una persona si prende cura di un’altra persona in modo “unico”. In quel momento c’è solo quella persona, il resto è sullo sfondo. San Paolo qui esercita un atto di autorità: chiede al fedele Filemone di riaccogliere il suo schiavo Onèsimo, non più come schiavo ma come fratello nel Signore.
Come schiavo lo avrebbe dovuto punire e la pena poteva essere la morte. « […] pur avendo in Cristo piena libertà di ordinarti ciò che è opportuno, in nome della carità piuttosto ti esorto ». San Paolo non vuole che Filemone compia il gesto per pura sottomissione alla sua autorità, ma in piena libertà, perché convinto. Una convinzione che è indotta anche dall’esempio di Paolo, che è schiavo per il Signore ed è contento di esserlo. Paolo parla in catene e chiede a Filemone non solo di non punire Onèsimo, ma di liberarlo dalle catene per sempre e di abbracciarlo come un fratello. Qui vediamo anche la Provvidenza di Dio all’opera: Onèsimo ha fatto una cosa cattiva liberandosi con le sue forze, disobbedendo in modo grave al suo padrone (forse, lo possiamo supporre, anche derubandolo).
Ma Dio si è servito proprio di questo per fargli incontrare san Paolo in catene e – attraverso di lui – il Signore Gesù, che lo ha liberato innanzitutto da quelle catene interiori che erano i suoi peccati e le sue passioni sregolate. « […] chiunque commette il peccato è schiavo del peccato » (Gv 8,34; cfr. Rm 7,14). Ora san Paolo, attraverso il cui ministero anche Filemone ha trovato la vera libertà (« anche tu mi sei debitore, e proprio di te stesso! »), chiede al suo figlio spirituale di partecipare attivamente e liberamente all’amore di Cristo che ha anche lui ricevuto amando a sua volta il suo schiavo. È solo un episodio, contenuto in un brevissimo biglietto, ma non facciamo fatica a riconoscere in esso tutta la nostra vita…
In fondo siamo tutti in catene, siamo tutti quanti schiavi, ma diventiamo veramente liberi se ci facciamo schiavi del Signore Gesù, se permettiamo che la sua Parola e il suo amore ci “convincano” (alla lettera: ci “sconfiggano” e quindi ci facciano prigionieri…). Questa meravigliosa libertà diventa vera in noi se accettiamo di farci strumenti di liberazione di altri schiavi sulle strade della vita. Con l’autorità della verità, che non può mai andar disgiunta dalla forza dell’amore. L’autorità di san Paolo si intreccia indissolubilmente con il suo amore concreto e personale. Una verità senza amore è falsa, un amore senza verità è malvagio.