« Questa parola è degna di fede: se uno aspira all’episcopato, desidera un nobile lavoro. Bisogna dunque che il vescovo sia irreprensibile, marito di una sola donna, sobrio, prudente, dignitoso, ospitale, capace di insegnare, non dedito al vino, non violento ma benevolo, non litigioso, non attaccato al denaro. Sappia guidare bene la propria famiglia e abbia figli sottomessi e rispettosi, perché, se uno non sa guidare la propria famiglia, come potrà aver cura della Chiesa di Dio? Inoltre non sia un convertito da poco tempo, perché, accecato dall’orgoglio, non cada nella stessa condanna del diavolo. È necessario che egli goda buona stima presso quelli che sono fuori della comunità, per non cadere in discredito e nelle insidie del demonio. Allo stesso modo i diaconi siano persone degne e sincere nel parlare, moderati nell’uso del vino e non avidi di guadagni disonesti, e conservino il mistero della fede in una coscienza pura. Perciò siano prima sottoposti a una prova e poi, se trovati irreprensibili, siano ammessi al loro servizio. Allo stesso modo le donne siano persone degne, non maldicenti, sobrie, fedeli in tutto. I diaconi siano mariti di una sola donna e capaci di guidare bene i figli e le proprie famiglie. Coloro infatti che avranno esercitato bene il loro ministero, si acquisteranno un grado degno di onore e un grande coraggio nella fede in Cristo Gesù. » (1Tm 3,1-13).
Il celibato sacerdotale non è solo un problema di disciplina ecclesiastica ma in esso è coinvolta tutta la concezione dell’amore umano. Assieme al voto religioso di castità e verginità testimonia che la sessualità dell’uomo non coincide con la pura genitalità animale, ma cela un mistero ben più profondo tale da coinvolgere il significato stesso del matrimonio.
Guardando la cosa dal lato negativo, dobbiamo affermare che la crisi del celibato sacerdotale e la crisi del matrimonio sono solo due facce di una stessa medaglia: la crisi della sessualità umana, che è in definitiva la crisi dell’essere stesso dell’uomo. Se diamo uno sguardo alle fonti patristiche e canonistiche antiche, scopriamo che la legge del celibato non riguarda – di per sé – il matrimonio, ma consiste piuttosto nell’obbligo della continenza da ogni uso del matrimonio dopo l’ordinazione. Non siamo a conoscenza di nessuna decisione ecclesiastica che l’abbia introdotta come innovazione per cui deve essere ricondotta ad una tradizione non scritta, forse addirittura di origine divino – apostolica.
La tesi corrente secondo cui si può delineare una storia dell’introduzione della legge del celibato ecclesiastico in Occidente è assolutamente falsa. È vero invece che si può scrivere la storia del processo inverso nella Chiesa Orientale. Capita sempre di leggere qua e là che il concilio di Nicea (325) respinse la proposta di obbligare i chierici al celibato o, addirittura, che a sancire questa legge fu il concilio Lateranense II (1139). Affermazioni del genere, oggi, dopo il progresso degli studi che c’è stato in materia, possono essere solo frutto di ignoranza.
Il senso del celibato è dunque tutto nella continenza sessuale. Il sacerdote è chiamato a rendere di nuovo presente l’atto di amore fondativo di Cristo, nel sacramento dell’Eucaristia, offrendo il sacrificio di Gesù, lo stesso identico sacrificio «in persona Christi». Ecco allora che la sua persona è chiamata ad identificarsi con lui, sia nel sesso (maschile), che nell’esercizio casto e “sublimato” di questa sua sessualità maschile. Certamente si possono addurre tante altre ragioni di carattere sociologico e pratico che rendono conveniente il celibato sacerdotale, ma fermarsi lì sarebbe un girare attorno alla questione.
Oggi più che mai siamo chiamati ad andare con coraggio e determinazione al cuore di tutti i problemi e il cuore del celibato sacerdotale è l’amore di Cristo capo e sposo della Chiesa, che diventa realtà concreta nella Messa, la vera ed unica fonte della vita e dell’identità del sacerdote.
Il Santo del giorno: San Roberto Bellarmino, dottore della Chiesa