« Ma prima di tutto questo metteranno le mani su di voi e vi perseguiteranno, consegnandovi alle sinagoghe e alle prigioni, trascinandovi davanti a re e governatori, a causa del mio nome. Avrete allora occasione di dare testimonianza. Mettetevi dunque in mente di non preparare prima la vostra difesa; io vi darò parola e sapienza, cosicché tutti i vostri avversari non potranno resistere né controbattere. Sarete traditi perfino dai genitori, dai fratelli, dai parenti e dagli amici, e uccideranno alcuni di voi; sarete odiati da tutti a causa del mio nome. Ma nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto. Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita » (Lc 21,12-19).
Alla fine dell’anno liturgico la Chiesa ci invita a meditare sulla fine di questo mondo. Finirà bene? La storia del mondo è “commedia”, con un inevitabile “lieto fine”? Oppure è “tragedia”, irrimediabilmente avviato ad una fine catastrofica?
La Bibbia ci dice che è un “dramma”. Una vicenda complessa, dolorosa, combattuta, in cui il finale spaventoso e commovente si risolverà inaspettatamente in un bene. Il modello della sua storia è la vita di Gesù, per cui, quando diciamo il Rosario, ripercorriamo la storia del mondo. La faccenda particolarmente interessante per noi è che questo dramma siamo chiamati a viverlo.
Non nel senso che certamente parteciperemo fisicamente alla sua fine, ma nel senso che la nostra vita sarà il nostro modo di partecipare alla storia del mondo. Quando sarà la fine non lo sappiamo, e non deve neppure interessarci troppo, ma certamente ci sarà…
La fine che più deve interessarci è la “nostra” fine, da aspettare non con l’ossessione del “quando”, ma con la gioiosa e serena anticipazione del “come”. Si racconta che un giorno chiesero a san Luigi Gonzaga, che stava giocando a palla, che cosa avrebbe fatto se gli avessero annunciato che tra un quarto d’ora finiva il mondo… Il santo rispose tranquillamente: continuerei a giocare.
Il Santo del giorno: San Virgilio, Vescovo