« Quando Gesù seppe che Giovanni era stato arrestato, si ritirò nella Galilea, lasciò Nàzaret e andò ad abitare a Cafàrnao, sulla riva del mare, nel territorio di Zàbulon e di Nèftali, perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta Isaia: Terra di Zàbulon e terra di Nèftali, sulla via del mare, oltre il Giordano, Galilea delle genti! Il popolo che abitava nelle tenebre vide una grande luce, per quelli che abitavano in regione e ombra di morte una luce è sorta. Da allora Gesù cominciò a predicare e a dire: “Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino”. […]. Gesù percorreva tutta la Galilea, insegnando nelle loro sinagoghe, annunciando il vangelo del Regno e guarendo ogni sorta di malattie e di infermità nel popolo. La sua fama si diffuse per tutta la Siria e conducevano a lui tutti i malati, tormentati da varie malattie e dolori, indemoniati, epilettici e paralitici; ed egli li guarì. Grandi folle cominciarono a seguirlo dalla Galilea, dalla Decàpoli, da Gerusalemme, dalla Giudea e da oltre il Giordano » (Mt 4,12-17.23-25).
L’annuncio del Regno sta diventando un evento a noi molto familiare, dal momento che è diventato un mistero del Rosario, dopo la “riforma” di san Giovanni Paolo II: il terzo mistero della luce. “Vangelo”, “euanghélion”, viene comunemente tradotto con “buona notizia”. È una traduzione certamente corretta, ma che rende il suo contenuto in modo riduttivo. Il termine infatti designa il decreto di un sovrano: non è una pura e semplice “notizia”, ma un qualcosa che – bello o brutto che sia – cambia le cose, perché emana da una autorità suprema. Questo decreto infatti parla di un regno che si afferma: evidentemente qui regno non vuol dire “territorio”, ma piuttosto sovranità. Qualcosa di “dinamico”. Qualcuno – Dio – riafferma efficacemente la sua sovranità. La parola regno ricorre 122 volte in tutto il Nuovo Testamento. Di queste 122 ricorrenze 99 sono nei Vangeli sinottici e 90 ricorrono sulla bocca di Gesù.
Sembrerebbe dunque che i Vangeli non parlino tanto di Gesù, quanto del regno. La Chiesa ha fatto oggetto della sua predicazione Gesù, annunciandolo come Figlio di Dio e Dio lui stesso per natura, mentre il Gesù dei Vangeli sembra piuttosto annunciare la venuta del regno di Dio. Molti interpreti allora hanno detto: vedete che c’è una differenza? Un conto è il Gesù della storia, il quale ha predicato il regno di Dio e un conto è il Cristo della fede, frutto della rielaborazione della Chiesa. La proposta sembra allettante nella sua semplicità. In che cosa consisterebbe il regno annunciato dal “vero” Gesù? In una morale individualistica che si contrappone alla concezione legalistica e cultuale degli ebrei del tempo di Gesù? Nella fine imminente del mondo? In uno stato di cose in cui finalmente «regnano la pace, la giustizia e la salvaguardia della creazione»?
Il problema è che ciascuna di queste interpretazioni si trova costretta a fare quello che alla scienza onesta non è mai consentito: selezionare i fatti alla luce della teoria, per poi fondarla sulla base dei fatti così selezionati… Gesù è – secondo una famosa espressione di Origene – l’autobasiléia, il Regno stesso in persona. Cioè in lui Dio si fa presente e agisce. Agisce già da ora, ma la sua azione è misteriosa, per cui bisogna essere pronti per discernerla, tant’è vero che essa diventa evidente in qualcosa che non ha le apparenze della gloria e della potenza di Dio: la sua passione e la sua morte. Il Regno è Gesù e se lo accolgo nella fede il Regno incomincia in me e – attraverso di me – si diffonde nel mondo!
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Il Santo del giorno*: San Raimondo de Penafort, Sacerdote
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