« Noi amiamo perché egli ci ha amati per primo. Se uno dice: “Io amo Dio” e odia suo fratello, è un bugiardo. Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede. E questo è il comandamento che abbiamo da lui: chi ama Dio, ami anche suo fratello. Chiunque crede che Gesù è il Cristo, è stato generato da Dio; e chi ama colui che ha generato, ama anche chi da lui è stato generato. In questo conosciamo di amare i figli di Dio: quando amiamo Dio e osserviamo i suoi comandamenti. In questo infatti consiste l’amore di Dio, nell’osservare i suoi comandamenti; e i suoi comandamenti non sono gravosi. Chiunque è stato generato da Dio vince il mondo; e questa è la vittoria che ha vinto il mondo: la nostra fede» (1Gv 4,19-5,4).
L’amore di Gesù per i suoi discepoli è un riflesso, una partecipazione, dell’amore che le tre persone della Trinità divina hanno tra di loro. Questo amore deve diventare la sorgente del nostro amore: « Noi amiamo perché egli ci ha amati per primo ». La certezza che Dio ci ama è la sorgente della nostra gioia: « Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena » (15,11; cfr. Gal 5,22).
Il legame tra amore e gioia è evidente: anche l’amore umano contiene in sé una promessa di gioia affascinante e questo a partire dall’amore erotico e carnale. Il problema è che questo amore è molto spesso “malato”, cioè contiene in sé, in modo nascosto, tante tendenze che ne contraddicono la sua natura profonda: egoismo, possesso, sfruttamento.
L’io fatica a trovare la gioia in quell’amore che è capace di “produrre” da solo, perché per farlo dovrebbe uscire dal proprio egoismo, dovrebbe essere capace di rinnegare sé stesso. L’amore di Gesù, che ci precede, ha in sé una potenza di trasformazione inaudita, capace di capovolgere le nostre tendenze malate.
Questo capovolgimento salutare è come il bisturi di un medico, che separa quello che deve essere asportato dalla parte sana, per liberarla e guarirla. Noi non ne saremmo capaci. Gesù ha compiuto per noi questo miracolo sulla Croce, con la sua sofferenza ha liberato la natura umana da questa sua malattia radicale.
Noi però dobbiamo accettare questa trasformazione. È il rischio dell’amore vero, liberato dal peccato. Ma è anche il rischio della felicità.
Il Santo del giorno: San Milziade, Papa