« Io […] ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso: il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: “Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me”. Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: “Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me”. Ogni volta infatti che mangiate questo pane e bevete al calice, voi annunciate la morte del Signore, finché egli venga » (1Cor 11,23-26).
La diversità dei riti liturgici è un aspetto della vita della Chiesa poco conosciuto e quindi spesso frainteso. Difficile in poche righe affrontare un argomento che è assai complesso e si trova nel punto di intersezione tra diverse discipline: la teologia, la liturgia, la storia e il diritto canonico…
Si può comunque dare un breve inquadramento per chi volesse approfondire un tema che, se è difficile, non cessa però di essere affascinante. La differenza dei riti liturgici infatti esprime l’inesauribile ricchezza del mistero creduto e celebrato nella Chiesa. Il fatto che il mistero dell’eucaristia (con tutti gli altri sacramenti) venga celebrato in lingue e forme rituali diverse e questo fin dagli inizi, non è solo il risultato della necessaria inculturazione della fede ma è anche il riflesso di tradizioni apostoliche diverse. Le due versioni dell’istituzione dell’Eucaristia di san Paolo-san Luca e di san Marco-san Matteo testimoniano questa originaria diversità.
Che cos’è propriamente un rito liturgico? Volendoci limitare ai riti principali, dovremmo segnalare, nell’ambito del rito latino, il rito romano e quello ambrosiano, che è il rito della diocesi di Milano. Nell’ambito della tradizione Costantinopolitana il rito bizantino che in Russia, Serbia, Bulgaria ecc. diventa bizantino-slavo. In quella siriaca, il rito siro-antiocheno, a cui deve essere accostato il rito maronita (Libano), e quello siro-orientale (“assiro” o “caldeo”) con il rito siro-malabarese, proprio delle comunità cristiane che in India si ricollegano alla tradizione di san Tommaso Apostolo (i “cristiani di san Tommaso”). Alla tradizione Alessandrina appartiene il rito copto, a cui si ricollega anche il rito etiopico; mentre il rito armeno, espressione liturgica dell’antichissima Chiesa Armena, raccoglie influssi di diverse tradizioni, soprattutto quella antiochena e costantinopolitana.
«La diversità liturgica può essere fonte di arricchimento, ma può anche provocare tensioni, reciproche incomprensioni e persino scismi. In questo campo è chiaro che la diversità non deve nuocere all’unità. Essa non può esprimersi che nella fedeltà alla fede comune, ai segni sacramentali, che la Chiesa ha ricevuto da Cristo, e alla comunione gerarchica. L’adattamento alle culture esige anche una conversione del cuore e, se è necessario, anche rotture con abitudini ancestrali incompatibili con la fede cattolica» (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1206).
La diversità, quando è vissuta nella fede comune e nella carità, celebra lo stesso sacramento dell’unità e dell’amore. La diversità è l’unico modo in cui il mistero può sprigionare quaggiù le sue infinite perfezioni e avvolgerci con la sua bellezza trascendente.
Il Santo del giorno: San Demetrio, martire