« […] fratelli, quando venni tra voi, non mi presentai ad annunciarvi il mistero di Dio con l’eccellenza della parola o della sapienza. Io ritenni infatti di non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo, e Cristo crocifisso. Mi presentai a voi nella debolezza e con molto timore e trepidazione. La mia parola e la mia predicazione non si basarono su discorsi persuasivi di sapienza, ma sulla manifestazione dello Spirito e della sua potenza, perché la vostra fede non fosse fondata sulla sapienza umana, ma sulla potenza di Dio » (1Cor 2,1-5).
La fede non è fondata sulla sapienza umana. Dalla fede tuttavia si può sprigionare, anche usando come strumento la sapienza umana, una grande e divina sapienza. È la grande avventura della teologia cristiana, che ha riempito di poderosi volumi le nostre biblioteche, ma – soprattutto ha riempito i cuori dei cristiani in modo diretto o indiretto – di una immensa fiducia nella ragione e ha contribuito in modo decisivo all’edificazione della nostra civiltà occidentale.
È una fiducia nella ragione che è appunto “ragionevole” e non è un gioco di parole. Non c’è nulla infatti di più irragionevole di una ragione che vuole “spiegare tutto”. Cedo qui la parola a un grande filosofo dell’Antichità, quello che Dante Alighieri ha battezzato « ‘l maestro di color che sanno » (Inf. 4). Dice Aristotele: « è stupidità [ἀπαιδευσία] il non sapere di quali cose si debba ricercare una dimostrazione e di quali, invece, non si debba ricercare. Infatti […] è impossibile che ci sia dimostrazione di tutto » (Met. Γ 4, 1006 a 6-8).
Dimostrare infatti vuol dire far vedere che da qualcosa di noto si può dedurre qualcosa di ignoto. Non si può però – ragionevolmente – andare all’infinito. Ci devono essere delle evidenze primordiali da cui partire, ci deve essere un gancio da qualche parte a cui appendere la fila di salsicce dei nostri ragionamenti. Una di queste evidenze primordiali è che il mondo, questo mondo, non è tutto. « […] noi non fissiamo lo sguardo sulle cose visibili, ma su quelle invisibili, perché le cose visibili sono di un momento, quelle invisibili invece sono eterne » (2Cor 4,18).
Questo mondo anzi rimanda ad un altro mondo, che è quello vero, e tutte le cose di questo mondo sono in definitiva dei segni, dei simboli, di quest’altra realtà.
IL SANTO DEL GIORNO: SANTI GIUSEPPE D’ARIMATEA E NICODEMO, DISCEPOLI DEL SIGNORE