« La fede è fondamento [ὑπόστασις: sostanza] di ciò che si spera e prova di ciò che non si vede. Per questa fede i nostri antenati sono stati approvati da Dio. Per fede, Abramo, chiamato da Dio, obbedì partendo per un luogo che doveva ricevere in eredità, e partì senza sapere dove andava. Per fede, egli soggiornò nella terra promessa come in una regione straniera, abitando sotto le tende, come anche Isacco e Giacobbe, coeredi della medesima promessa. Egli aspettava infatti la città dalle salde fondamenta, il cui architetto e costruttore è Dio stesso. Per fede, anche Sara, sebbene fuori dell’età, ricevette la possibilità di diventare madre, perché ritenne degno di fede colui che glielo aveva promesso. Per questo da un uomo solo, e inoltre già segnato dalla morte, nacque una discendenza numerosa come le stelle del cielo e come la sabbia che si trova lungo la spiaggia del mare e non si può contare. Nella fede morirono tutti costoro, senza aver ottenuto i beni promessi, ma li videro e li salutarono solo da lontano, dichiarando di essere stranieri e pellegrini sulla terra. Chi parla così, mostra di essere alla ricerca di una patria. Se avessero pensato a quella da cui erano usciti, avrebbero avuto la possibilità di ritornarvi; ora invece essi aspirano a una patria migliore, cioè a quella celeste. Per questo Dio non si vergogna di essere chiamato loro Dio. Ha preparato infatti per loro una città. Per fede, Abramo, messo alla prova, offrì Isacco, e proprio lui, che aveva ricevuto le promesse, offrì il suo unigenito figlio, del quale era stato detto: Mediante Isacco avrai una tua discendenza. Egli pensava infatti che Dio è capace di far risorgere anche dai morti: per questo lo riebbe anche come simbolo » (Eb 11,1-2.8-19).
La fede non è soltanto “convinzione”, ma è “sostanza”, cioè presenza, già ora, di quello che desideriamo e attendiamo per l’eternità. Qualcosa che è ancora in germe, ma nella misura in cui liberamente lo accogliamo e ci lasciamo conquistare da lui e attirare nella sua vita, cresce e si sviluppa comunicandoci la sua forza, la sua vittoria e la sua gioia. Accorgersi sempre di più di questa presenza e viverla è il cuore della preghiera, che non è altro che “fede in atto”.
Se la vediamo nella sua vera natura, ci accorgiamo che la preghiera non è tanto un dovere, quanto un cammino di pace e di gioia. Pregate, fate in modo che la preghiera diventi per voi gioia! In fondo si tratta di accorgersi sempre di più di questa presenza e viverla, aspettandosi da Lui la vera soluzione dei nostri problemi. Non significa per questo rimanere inattivi, perché è vero il contrario: si tratta piuttosto di trovare e ri-trovare la sorgente di ogni nostra attività.
È l’augurio che continuiamo a farci in ogni celebrazione liturgica: Dominus vobiscum – et cum spiritu tuo; il Signore sia con te – e con il tuo spirito.
Se diciamo “amen” [letteralmente: mi appoggio] con il cuore e in verità a questa presenza e alla vita che ci comunica, il che significa ovviamente alla croce con cui ci ha amati e con la quale ci chiede di amare, allora la nostra vita cambia, perché non è più la “nostra”, ma la sua che vive in noi: « non vivo più io, ma Cristo vive in me » (Gal 2,20).