« È apparsa infatti la grazia di Dio, che porta salvezza a tutti gli uomini e ci insegna a rinnegare l’empietà e i desideri mondani e a vivere in questo mondo con sobrietà, con giustizia e con pietà, nell’attesa della beata speranza e della manifestazione della gloria del nostro grande Dio e salvatore Gesù Cristo. Egli ha dato se stesso per noi, per riscattarci da ogni iniquità e formare per sé un popolo puro che gli appartenga, pieno di zelo per le opere buone » (Tt 2,11-14).
Era costume presso gli ebrei che i figli maschi ricevessero il loro nome otto giorni dopo la nascita in occasione della loro circoncisione. Il padre aveva questo compito. Zaccaria recupera la voce proprio nel momento di decidere il nome di suo figlio, che non può essere che quello deciso da Dio: « tu lo chiamerai Giovanni » (Lc 1,13), annuncio di cui Zaccaria aveva dubitato.
Ora però, davanti all’evidenza, ha recuperato la fede e pone il nome “Giovanni” al bimbo. L’atto di dare il nome è molto importante, prerogativa esclusiva dell’autorità paterna e indicazione precisa della vita a cui è chiamato chi è così nominato. Giovanni, cioè Iochanan יוֹחָנָן – Dio ha avuto misericordia. Il compito di Giovanni, l’ultimo dei profeti dell’Antico Testamento sarà quello di indicare presente ciò che i profeti avevano a lungo annunciato da lontano.
Gesù è la misericordia, la grazia, divenuta uomo. Così infatti, scrivendo a Tito, l’Apostolo sintetizza l’insegnamento essenziale da impartire con autorità, che coincide con la persona stessa di Gesù: « È apparsa infatti la grazia di Dio » (Tt 2,11); « Ma quando apparvero la bontà di Dio, salvatore nostro, e il suo amore per gli uomini, egli ci ha salvati, non per opere giuste da noi compiute, ma per la sua misericordia » (Tt 3,4-5); « La misericordia ha sempre la meglio sul giudizio » (Gc 2,13).
Gesù compare nel mondo come la grazia, il dono immeritato e assolutamente gratuito di Dio. Se lo accogliamo nel nostro cuore ci trasforma e fa sì che diventiamo colmi di desiderio « di zelo per le opere buone ».