In quel tempo, [Gesù apparve agli Undici] e disse loro:
«Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvato, ma chi non crederà sarà condannato.
Questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno demòni, parleranno lingue nuove, prenderanno in mano serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno; imporranno le mani ai malati e questi guariranno» (Marco 16,15-18).
Oggi, a conclusione dell’Ottavario di preghiera per l’unità dei cristiani, meditiamo in tutta la Chiesa sul brano del Vangelo proclamato nella Festa della conversione di San Paolo apostolo. La ricorrenza odierna ribadisce la necessità della conversione come condizione necessaria ed efficace del dialogo ecumenico per il ritorno di tutti i cristiani all’unica Chiesa di Cristo, affinché tutti noi battezzati possiamo effettivamente essere un cuor solo e un’anima sola, in un solo ovile e sotto un solo Pastore, come Gesù Cristo stesso ha voluto che fosse la sua Chiesa.
La piena adesione di fede di ogni essere umano al Vangelo, da proclamare a ogni creatura in tutto il mondo per ottenere la salvezza, indica che la risposta cordiale e positiva all’annuncio cristiano, pur essendo assolutamente libera, non è semplicemente facoltativa, infatti in caso negativo comporterà la condanna. La Chiesa, con tutti i suoi figli, ha il mandato divino, il glorioso compito di far risuonare l’annuncio della fede, che salva fino alla fine dei tempi.
San Paolo ne è il modello perennemente valido. Non perché ha annunciato il Vangelo della salvezza nelle tre culture – giudaica, greca e romana – da lui vissute, bensì perché l’ha fatto con la potenza dell’amore di Cristo Risorto, che ha compiuto nella sua esistenza il miracolo della nuova vita, della sua morte e risurrezione.
Gesù Risorto gli è andato incontro sulla via di Damasco e ha operato in lui un rinnovamento tale da costituirlo Apostolo delle genti, testimone della sua Resurrezione, come insegna Papa Benedetto XVI (2005-2013) in una sua catechesi del mercoledì:
«In questo senso non fu semplicemente una conversione, una maturazione del suo “io”, ma fu morte e risurrezione per lui stesso: morì una sua esistenza e un’altra nuova ne nacque con il Cristo Risorto. In nessun altro modo si può spiegare questo rinnovamento di Paolo. Tutte le analisi psicologiche non possono chiarire e risolvere il problema. Solo l’avvenimento, l’incontro forte con Cristo, è la chiave per capire che cosa era successo: morte e risurrezione, rinnovamento da parte di Colui che si era mostrato e aveva parlato con lui. In questo senso più profondo possiamo e dobbiamo parlare di conversione. Questo incontro è un reale rinnovamento che ha cambiato tutti i suoi parametri. Adesso può dire che ciò che prima era per lui essenziale e fondamentale, è diventato per lui “spazzatura”; non è più “guadagno”, ma perdita, perché ormai conta solo la vita in Cristo.
Non dobbiamo tuttavia pensare che Paolo sia stato così chiuso in un avvenimento cieco. È vero il contrario, perché il Cristo Risorto è la luce della verità, la luce di Dio stesso. Questo ha allargato il suo cuore, lo ha reso aperto a tutti. In questo momento non ha perso quanto c’era di bene e di vero nella sua vita, nella sua eredità, ma ha capito in modo nuovo la saggezza, la verità, la profondità della legge e dei profeti, se n’è riappropriato in modo nuovo. Nello stesso tempo, la sua ragione si è aperta alla saggezza dei pagani; essendosi aperto a Cristo con tutto il cuore, è divenuto capace di un dialogo ampio con tutti, è divenuto capace di farsi tutto a tutti. Così realmente poteva essere l’apostolo dei pagani.
Venendo ora a noi stessi, ci chiediamo che cosa vuol dire questo per noi? Vuol dire che anche per noi il cristianesimo non è una nuova filosofia o una nuova morale. Cristiani siamo soltanto se incontriamo Cristo. Certamente Egli non si mostra a noi in questo modo irresistibile, luminoso, come ha fatto con Paolo per farne l’apostolo di tutte le genti. Ma anche noi possiamo incontrare Cristo, nella lettura della Sacra Scrittura, nella preghiera, nella vita liturgica della Chiesa. Possiamo toccare il cuore di Cristo e sentire che Egli tocca il nostro. Solo in questa relazione personale con Cristo, solo in questo incontro con il Risorto diventiamo realmente cristiani. E così si apre la nostra ragione, si apre tutta la saggezza di Cristo e tutta la ricchezza della verità. Quindi preghiamo il Signore perché ci illumini, perché ci doni nel nostro mondo l’incontro con la sua presenza: e così ci dia una fede vivace, un cuore aperto, una grande carità per tutti, capace di rinnovare il mondo» (Udienza generale del 3 settembre 2008).