In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli una parabola:
«Osservate la pianta di fico e tutti gli alberi: quando già germogliano, capite voi stessi, guardandoli, che ormai l’estate è vicina. Così anche voi: quando vedrete accadere queste cose, sappiate che il regno di Dio è vicino.
In verità io vi dico: non passerà questa generazione prima che tutto avvenga. Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno». (Lc 21,29-33)
Questi versetti appartengono al genere escatologico-apocalittico. L’escatologia propone un discorso sulle realtà ultime: morte, giudizio, paradiso, inferno. L’apocalittica – dal greco apocaluptein – togliere il velo – propone appunto di svelare, cosa accadrà negli ultimi tempi, prima del ritorno di Cristo, dove vi sarà il giudizio universale, cieli nuovi e terra nuova e la risurrezione dei corpi che si riuniranno all’anima. Per il greco il tempo è ciclico: sembra che i secoli e gli anni girino in cerchio, riportando immancabilmente gli stessi avvenimenti. Per cui non c’è da attendersi niente di sostanzialmente nuovo. L’uomo della Bibbia, invece, considera la storia come una traiettoria orizzontale, il tempo ha uno svolgimento lineare, la storia cammina, progredisce, sotto la guida di Dio, verso un termine ben definito. Per cui non si ripete mai allo stesso modo, ma è aperta alla novità, alla speranza. Gesù tirando le somme dice: “il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno”.
È forte il richiamo all’attesa e alla vigilanza, che escludono sia l’impazienza che il sonno, tanto la fuga in avanti quanto il rimanere imprigionati nell’orizzonte del presente, sia il timore che il rilassamento. Il problema non è “quando”, ma “il farsi trovare pronti”. I segni premonitori della fine del mondo sono numerosi, ma imprecisati, confusi nelle vicende storiche. Non si tratta di sapere come avverranno tutte queste cose, ma di come deve comportarsi il cristiano nell’attesa. Ogni istante è il tempo favorevole per decidersi per Gesù.