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Il pensiero del giorno

21 Aprile 2024 - Autore: Don Giuseppe Zanghì



In quel tempo, Gesù disse: «Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. Il mercenario – che non è pastore e al quale le pecore non appartengono – vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; perché è un mercenario e non gli importa delle pecore.
Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore.
Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio» (Giovanni 10,11-18).

Con la similitudine del buon pastore Gesù completa la lunga conversazione con i Giudei, che si rifiutavano di accettarlo, contro ogni evidenza e prova scritturale, come il Figlio Unigenito inviato dal Padre. Essi sono condannati dal loro stesso accecamento (cfr. Gv 9,34ss.) per cui non accettano che Gesù sia il Messia promesso da Dio per guidare il suo popolo (cfr. Ger 31,1ss.; Ez 34,1ss.). Pertanto restano esclusi dal vero ovile, a cui appartiene chi ascolta e segue Gesù, che sarà, d’ora in poi, l’unico vero pastore che dà la vita per il bene delle sue pecore. Gesù è il buon pastore perché dà volentieri e liberamente la propria vita per ubbidire al comando del Padre, che vuole la salvezza dei suoi figli, i quali avranno vero beneficio partecipando all’unico perfetto sacrificio dell’amore del Figlio. La sua vita, donata nella morte in croce per scontare la condanna delle offese dei peccatori, gli viene restituita nuovamente, anzi Gesù stesso se la riprende, trasformata e vivificata con la risurrezione, per la stessa potenza dell’amore umano-divino che gli appartiene.

Gesù dichiara di essere il buon pastore non solo delle pecore del popolo eletto che lo riconoscono, ma anche di tutti i figli di Dio dispersi che lo ascolteranno e lo seguiranno diventando un unico gregge con un solo pastore. Il buon pastore infine intende stabilire un vero amore con i suoi discepoli (le pecore della similitudine) con una vera conoscenza reciproca di esperienza e presenza. Infatti fra Gesù e i discepoli si instaurerà una mutua e piena relazionalità come fra il Padre e il Figlio (cfr. anche Gv14,17 e 20; 17,3 e 21-22; 2Gv 1-2), che si realizza nell’amore (cfr. Os 6,6; 1Gv 3,1ss.).

A questo punto apprendiamo, con rinnovata fiducia e speranza, che Dio non ha rinunciato al suo meraviglioso progetto di costituire nell’unità e nell’amore la grande famiglia dei suoi figli per manifestare loro la sua gloria e renderli partecipi della sua felicità. Infatti sin dal tempo della loro prima caduta nel peccato e nella conseguente lacerazione e discordia, il Buon Dio ha preparato con fatti e parole, scegliendo come guide persone ben precise, i tempi nuovi in cui potessero regnare la giustizia, la pace e l’amore. E se, con la guida della Provvidenza e della Sapienza divina, si è potuto capire nella storia che la pace è opera della giustizia (opus iustitiae pax), solo direttamente alla scuola dell’amore, dei Sacri Cuori di Gesù e di Maria, anima della Chiesa, i popoli civilizzati ed elevati dalla grazia del Vangelo, ovvero della Buona Novella che è Gesù, hanno potuto vivere secoli di vera pace e di vero progresso umano in tutti i campi, nonostante persistenti focolai più o meno consistenti di lotte e aggressioni.

Da quando però, una certa modernità ha preso il sopravvento, chiudendosi nel ritorno al vecchio mondo del peccato, ossia nella pretesa, più o meno ideologica, irrazionale e assurda, di garantirsi la pace con la forza del potere di un super-uomo, di un partito politico, o di varie forze a servizio del dio denaro, l’attuale tecnocrazia, contro Dio e la sua legge d’amore, naturale e cristiana, è tornata la guerra fratricida, sempre più estesa a livello mondiale. E ai nostri giorni essa dilaga tragicamente comprimendo gli animi nella paura, nella depressione e nell’angoscia a causa dell’incertezza e dell’ansia per il futuro sempre più minacciato dalle macerie dell’auto-devastazione.

Però noi, cristiani e persone di buona volontà, abbiamo il coraggio che viene dalla fede. Sentiamo tutti il desiderio di coltivare la fede in Gesù, il Principe della pace. Ci adoperiamo a consacrare ciascuno di noi, la famiglia, i popoli e le loro istituzioni al Sacro Cuore di Gesù, il Re dei re, e il Signore di tutti quelli che governano. Rialziamo la bandiera della carità contro l’avidità, alla scuola della dottrina sociale della Chiesa. Accogliamo con amore e docilità il servizio del Vescovo di Roma, il Vicario di Cristo, il Papa, e preghiamo perché il Signore lo conservi, gli dia vita, lo renda beato in terra e non lo lasci cadere nelle mani dei suoi nemici. E non manchiamo di praticare anche, come la Madonna ci chiede, la consacrazione al suo Cuore, al Cuore Immacolato di Maria. Verrà certamente una nuova epoca di fede e di civiltà in cui «sarà concesso al mondo qualche tempo di pace», allorché si realizzerà la promessa delle sue stesse parole: «Infine il mio Cuore Immacolato trionferà!».

Sant’Anselmo d’Aosta Vescovo e dottore della Chiesa

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