In quel tempo, Gesù si mise a parlare con parabole [ai capi dei sacerdoti, agli scribi e agli anziani]:
«Un uomo piantò una vigna, la circondò con una siepe, scavò una buca per il torchio e costruì una torre. La diede in affitto a dei contadini e se ne andò lontano.
Al momento opportuno mandò un servo dai contadini a ritirare da loro la sua parte del raccolto della vigna. Ma essi lo presero, lo bastonarono e lo mandarono via a mani vuote. Mandò loro di nuovo un altro servo: anche quello lo picchiarono sulla testa e lo insultarono. Ne mandò un altro, e questo lo uccisero; poi molti altri: alcuni li bastonarono, altri li uccisero.
Ne aveva ancora uno, un figlio amato; lo inviò loro per ultimo, dicendo: “Avranno rispetto per mio figlio!”. Ma quei contadini dissero tra loro: “Costui è l’erede. Su, uccidiamolo e l’eredità sarà nostra!”. Lo presero, lo uccisero e lo gettarono fuori della vigna.
Che cosa farà dunque il padrone della vigna? Verrà e farà morire i contadini e darà la vigna ad altri. Non avete letto questa Scrittura: “La pietra che i costruttori hanno scartato è diventata la pietra d’angolo; questo è stato fatto dal Signore ed è una meraviglia ai nostri occhi”?».
E cercavano di catturarlo, ma ebbero paura della folla; avevano capito infatti che aveva detto quella parabola contro di loro. Lo lasciarono e se ne andarono (Marco 12,1-12).
Alcuni affittuari, assuefatti alla loro presenza nella fattoria, non accettano più il loro ruolo ed esigono di essere padroni, defraudando il datore di lavoro di una legittima proprietà. Anche noi, tante volte dobbiamo, per grazia ricevuta, fare la fatica della fede, per vincere quella tendenza all’autosufficienza che ci assale sempre quando la vita ci scorre particolarmente propizia. Come dice il Salmista rivolgendosi a Dio: «stavo davanti a te come una bestia» (73,22). È il peccato per eccellenza: la tendenza a fare senza Dio, come se io fossi il mio dio; si arriva anche a venerare il male. Vorremmo essere i padroni del mondo e della nostra stessa vita, esercitando un possesso senza limiti. A questo punto pecchiamo contro il più importante dei comandamenti, il primo: «Io sono il Signore Dio tuo, non avrai altro Dio all’infuori di me». Quando viene infranto il primato di Dio, il peccato diviene mortale. Qui si perde la grazia del battesimo. Dio diventa un intralcio. Spesso si fa di lui una breve frase devota, oppure lo si nega per intero e viene bandito dalla vita pubblica in modo da relegarlo in un recondito angolo della coscienza.
Secondo alcuni questa sarebbe retta tolleranza! Cioè poter porre Dio Padre onnipotente come una opinione privata variabile all’infinito, senza dargli il dominio pubblico che è sommamente dovuto a Dio, come anche l’esistenza dell’intera realtà dell’universo e quindi della nostra personale esistenza. Questo atteggiamento non è tolleranza ma ipocrisia. Dove la persona umana si arroga un simile potere, dove non si amano più i comandamenti, non è possibile realizzare nessuna sana convivenza. La vigna viene devastata e invasa da rovi, male erbe e bestie feroci.
Possiamo condividere il monito di san Giovanni alla Chiesa di Efeso: «Se non ti ravvederai, verrò da te e rimuoverò il tuo candelabro dal suo posto» (Ap 2,5). Anche a noi europei può essere tolta la luce. Qual è l’antidoto? Quando i problemi sono più grandi di noi, si fa come san Benedetto da Norcia (480-547) e come tanti santi hanno insegnato: torna da tuo Padre e sta’ ben vicino a lui, confida soltanto in lui, che è sempre disposto a riedificare Gerusalemme splendidamente.