In quel tempo, Gesù alzàti gli occhi, vide i ricchi che gettavano le loro offerte nel tesoro del tempio. Vide anche una vedova povera, che vi gettava due monetine, e disse: «In verità vi dico: questa vedova, così povera, ha gettato più di tutti. Tutti costoro, infatti, hanno gettato come offerta parte del loro superfluo. Ella invece, nella sua miseria, ha gettato tutto quello che aveva per vivere». (Lc 21, 1-4)
Nessuno è così povero da non poter operare nella carità. Non si tratta per forza di offerte in denaro. Si può donare attenzione, tempo e servizi. Quando parliamo di elemosina verso qualcuno – etimologicamente “avere pietà” – si innesca subito un’altra visione della nostra realtà. Metti subito da parte il superfluo e ti rendi conto che i soldi non bastano mai…..apparentemente; ma alla fine avanzano sempre. E’ l’effetto dell’opera di misericordia che salva nell’immediato il nostro sguardo sul mondo e su noi stessi. Libera da una miriade di abitudini che gravano scioccamente sul nostro portafoglio, e ben peggio, sulla nostra anima. La verità ci fa liberi. Quando mettiamo mano al portafogli per donare anche poco ad un povero che chiede, è sempre come staccarci dalla nostra autosufficienza. Così torniamo ad essere figli del Padre che non temono il futuro. E’ come liberare lo Spirito Santo affinché agisca pienamente in noi. La maggior parte delle tradizioni religiose chiede ai propri fedeli gesti di attenzione ai poveri e di condivisione della ricchezza, un’attenzione che viene indicata con termini diversi e assume anche contenuti diversi: nell’Antica Grecia i mendicanti e i forestieri erano considerati sotto la protezione di Zeus, che puniva chi rifiutava di accoglierli e ospitarli; inoltre, nella mitologia greca e nella mitologia romana esistevano delle divinità, le Grazie, collegate alla generosità; nel Cristianesimo si parla di carità.
In un messaggio per la Quaresima 2008, Papa Benedetto XVI ha sottolineato alcuni aspetti dell’elemosina cristiana: è, insieme alla preghiera e al digiuno, un impegno per il processo di rinnovamento quaresimale dei cristiani; aiuta a vincere la costante tentazione dell’idolatria del denaro; deve essere nascosta, come dice il Vangelo di oggi riguardo alla vedova che nessuno nota, tranne Gesù che la valorizza presso i suoi discepoli come donna di cuore autentica. Ciò a dispetto dell’uso ebraico di allora, dove chi donava somme elevate, era subito pompeggiato dagli addetti alle casse del Tempio che lo mettevano in bella vista innanzi a tutta la platea dei presenti. Nel fare la carità mai mettere in evidenza noi stessi, perché l’elemosina può tramutarsi in atto di superbia. Non è semplice filantropia, ma espressione concreta della carità cristiana; suggerisce, come dice la Scrittura, che c’è più gioia nel dare che nel ricevere; può avere come frutto anche il perdono dei peccati, perché avvicinandoci agli altri ci avvicina a Dio; educa alla generosità dell’amore, in quanto il vero amore è quello che dona tutto se stesso; ci aiuta a seguire l’esempio di Gesù fattosi povero per arricchirci della sua povertà, ed è quindi un mezzo per approfondire la nostra vocazione cristiana; ha valore solo in quanto ispirata dall’amore; allena spiritualmente, per crescere nella carità e riconoscere nei poveri Cristo stesso; con essa regaliamo un segno del dono più grande che è la testimonianza di Cristo.
SANTA CATERINA D’ALESSANDRIA, VERGINE E MARTIRE