Essi erano appena partiti, quando un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: “Àlzati, prendi con te il bambino e sua madre, fuggi in Egitto e resta là finché non ti avvertirò: Erode infatti vuole cercare il bambino per ucciderlo”. Egli si alzò, nella notte, prese il bambino e sua madre e si rifugiò in Egitto, dove rimase fino alla morte di Erode, perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: “Dall’Egitto ho chiamato mio figlio”. Quando Erode si accorse che i Magi si erano presi gioco di lui, si infuriò e mandò a uccidere tutti i bambini che stavano a Betlemme e in tutto il suo territorio e che avevano da due anni in giù, secondo il tempo che aveva appreso con esattezza dai Magi. Allora si compì ciò che era stato detto per mezzo del profeta Geremia: Un grido è stato udito in Rama, un pianto e un lamento grande: Rachele piange i suoi figli e non vuole essere consolata, perché non sono più (Mt 2, 13-18).
Joseph Ratzinger-Benedetto XVI, dopo aver mostrato i limiti e le incongruenze dei vari studi più o meno storico-esegetici sul racconto evangelico della fuga in Egitto e della strage degli innocenti, dà chiaramente conto della sua realtà storico salvifica aiutandoci a saper leggere efficacemente le due citazioni bibliche (Osea 11,1. Geremia 31,15) riportate da Matteo nella sua pagina evangelica della S. Messa odierna per la festa dei Santi Innocenti.
La mente malata di Erode, per il suo attaccamento morboso al potere, gli aveva fatto uccidere i figli Alessandro e Aristobulo nell’anno 7 a. C. e Antipatro nel 4 a.C. Il despota, sospettoso di tutti, ordina poi l’uccisione dei bambini di Betlemme e di tutto il suo territorio ritenendosi sicuro così di eliminare il neonato Re di cui aveva avuto sentore e gelosia dopo la richiesta d’informazioni e del mancato ritorno dei Magi. L’evangelista Matteo, all’inizio del suo Vangelo, interviene mettendo in evidenza sia il fallimento dell’insano progetto contro i bambini innocenti, sia il collegamento e compimento in Gesù della storia della salvezza.
Cosa intende dire Osea con le parole: “dall’Egitto ho chiamato mio figlio”? In realtà il profeta racconta la storia d’Israele come una storia d’amore sponsale fra Dio e il suo popolo. Ma in queste sue parole l’immagine dell’amore sponsale è sostituita da quella dell’amore dei genitori. Il popolo viene chiamato anche figlio. Matteo qui fa riferimento a Cristo che rivive le vicende del popolo eletto, ma, a differenza di questo spesso infedele e ritornato in schiavitù, simbolicamente in Egitto (Os11,5), Gesù dona l’esodo definitivo al suo popolo: Egli ritorna dalla schiavitù portando tutti dall’alienazione del peccato alla libertà nella casa del Padre.
Certo, Rachele piange i suoi figli deportati in esilio senza possibile consolazione (cfr. Ger 31, 15). Ma ora Cristo va in esilio e con il suo prossimo ritorno ridesterà la speranza della piena riabilitazione nell’amore di Dio. In questo senso facciamo bene a meditare sulle parole con le quali Benedetto XVI avverte il grido delle madri del nostro tempo per i loro figli e le orienta alla Risurrezione di Gesù, speranza della vera consolazione.
Ma per questo bisogna recepire le coraggiose e chiare parole di Papa Francesco pronunciate durante il volo di ritorno dal Belgio: “(…). Le donne. Le donne hanno diritto alla vita: alla vita loro, alla vita dei figli. Non dimentichiamo di dire questo: un aborto è un omicidio. La scienza dice che già a un mese dal concepimento ci sono tutti gli organi. Si mata un essere umano, si uccide un essere umano. E i medici che si prestano a questo sono – permettimi la parola – sono sicari. Sono dei sicari. E su questo non si può discutere. Si uccide una vita umana. E le donne hanno il diritto di proteggere la vita. (…)”