« Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici. Voi siete miei amici, se fate ciò che io vi comando. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi. Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri » (Gv 15,12-17).
L’amore di Gesù per i suoi discepoli è un riflesso, una partecipazione, dell’amore che le tre persone della Trinità divina hanno tra di loro. Questo amore deve diventare la sorgente del nostro amore: « Noi amiamo perché egli ci ha amati per primo » (1Gv 4,19). La certezza che Dio ci ama è la sorgente della nostra gioia: « Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena » (15,11; cfr. Gal 5,22).
Il legame tra amore e gioia è evidente: anche l’amore umano contiene in sé una promessa di gioia affascinante e questo a partire dall’amore erotico e carnale. Il problema è che questo amore è molto spesso “malato”, cioè contiene in sé, in modo nascosto, tante tendenze che ne contraddicono la sua natura profonda: egoismo, possessivismo, sfruttamento.
L’io fatica a trovare la gioia in quell’amore che è capace di “produrre” da solo, perché per farlo dovrebbe uscire dal proprio egoismo, dovrebbe essere capace di rinnegare sé stesso. L’amore di Gesù, che ci precede, ha in sé una potenza di trasformazione inaudita, capace di capovolgere le nostre tendenze malate. Questo capovolgimento salutare è come il bisturi di un medico, che separa quello che deve essere asportato dalla parte sana, per liberarla e guarirla.
Noi non ne saremmo capaci. Gesù ha compiuto per noi questo miracolo sulla Croce, con la sua sofferenza ha liberato la natura umana da questa sua malattia radicale. Noi però dobbiamo accettare questa trasformazione. È il rischio dell’amore vero, liberato dal peccato. Ma è anche il rischio della felicità.