In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena. Questo è il mio comandamento che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici. Voi siete miei amici, se fate ciò che vi comando. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi. Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri» (Gv 15, 9 – 17).
In questo brano del Vangelo, Gesù ci chiama amici. Non svende l’amicizia in modo sentimentale, perché passa attraverso il vaglio dei Comandamenti. Gesù stesso, nella sua vita, manifestò chiaramente un grande amore verso il prossimo, dovunque andasse e verso chiunque incontrasse. L’amore di Dio è ovunque. Ma quando il Vangelo fa riferimento all’apostolo Giovanni, si dice: «L’apostolo che Gesù amava» (Gv 13,23). Identico il Suo legame con Lazzaro e i suoi famigliari: «Vedi come l’amava» (Gv 11,35). Sicuramente Gesù coltivava rapporti di amicizia. Tra l’amore e l’amicizia la distinzione è legata all’intensità: l’amore è una dimensione onnicomprensiva, soprattutto verso il prossimo. L’amicizia si compie presso un numero limitato di persone, ma l’intensità è decisamente superiore. L’amicizia vuole frequentazione assidua, contatto frequente e relazione più interiore, altrimenti non si può parlare di amicizia. Nell’amore questo non è indispensabile. Gli amici si incontrano in un certo luogo, spesso legato all’attività comune che li assimila, mentre Dio, come ripeto, è dovunque.
Detto questo, ci si potrebbe chiedere se è possibile passare dall’amore di Dio ad una vera e propria amicizia con il nostro Creatore. Un autore medioevale, Aelredo di Rievaulx (1110-1167), nel suo trattato L’Amicizia Spirituale afferma che l’amicizia si attua quando la relazione è veramente confidenziale, quando, cioè, ci si confida il proprio volersi bene. Inoltre, si rafforza quando due amici vivono per uno stesso scopo e quindi trascorrono il tempo comune, collaborando nel realizzare un certo fine. Collaborare con Dio vuol dire impegnarsi in una vera opera divina, che in questa pagina di Giovanni viene sintetizzata nell’obbedienza ai Comandamenti. Gesù vive e propone un’obbedienza amante, la quale procede verso il compimento superiore della giustizia nella carità. Certe compagnie di amici, come certe “sacre famiglie”, sembrano una cosa sola nell’intendersi reciproco dei loro componenti. Così deve essere per noi nella nostra relazione personale con il Salvatore.
Dio realizza la creazione in questo modo, instaurando dei legami salvifici con l’umanità; condividendo la grazia che proviene dalla nostra amicizia con Dio, noi collaboriamo nel modo più autentico al rinnovamento dell’universo.