n quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Guardatevi dai falsi profeti, che vengono a voi in veste di pecore, ma dentro sono lupi rapaci! Dai loro frutti li riconoscerete. Si raccoglie forse uva dagli spini, o fichi dai rovi? Così ogni albero buono produce frutti buoni e ogni albero cattivo produce frutti cattivi; un albero buono non può produrre frutti cattivi, né un albero cattivo produrre frutti buoni. Ogni albero che non dà buon frutto viene tagliato e gettato nel fuoco. Dai loro frutti dunque li riconoscerete» (Mt 7,15 – 20).
Il profeta è colui che parla a nome di un altro. Nell’Antico Testamento era frequente che alcuni ricevessero una divina ispirazione dal Cielo in vista di una missione specifica, parlare nel nome di Dio. I loro discorsi iniziavano sempre allo stesso modo: «Così dice il Signore» (cfr CCC 2004). Era frequente anche l’inganno da parte impostori che si presentavano come profeti e, poi, emettevano oracoli a favore dell’uno o dell’altro contendente politico: Geremia lamentava spesso la presenza di simili soggetti. Anche in epoca paleocristiana erano frequenti gli impostori, al punto che chi si presentava come un profeta era subito sospettato.
La funzione profetica non mancherà mai nella Chiesa, perché è ad essa intimamente connessa. La Chiesa docente, cioè il Papa, i vescovi e i sacerdoti, si esprimono in nome di Dio (CCC 243), ma questo vale anche per i genitori, per ogni educatore ed anche per qualunque credente che esprima la massima coerenza nel manifestare la propria fede.
I criteri per distinguere i veri dai falsi profeti sono i medesimi che applichiamo al discernimento dei pensieri. La migliore spiegazione di questo importante momento della nostra vita spirituale la dà sant’Ignazio di Loyola, che si sentiva incoraggiato e confortato dai pensieri che esortavano a servire Dio, mentre tutto ciò che era mondano era fonte di tenebre e inquietudine. Nella vigilanza spirituale, tutti sperimentiamo pensieri piacevoli, di per sé non peccaminosi, che non corrispondono a ciò che Dio vuole ora da noi. Già in questi primi moti disordinati avvertiamo un’iniziale tristezza e desolazione, cioè lontananza dalla pienezza dello Spirito. Ciò serve a non essere ingannati dalle nostre fantasie, come anche dalle parole adulanti di sedicenti profeti.
Certo, falsi profeti continuano a proporre una salvezza “a buon mercato”, la quale, alla fine, lascia l’amaro in bocca. Nel mondo delle nuove religiosità odierne, quante volte constatiamo proposte che non sono altro che una via moralmente addolcita ed edulcorata, molto adattabile alla propria sensibilità e colma di compromessi col peccato! Oggi più che mai è compito di noi cristiani diffondere, con la testimonianza della vita, la verità che Cristo reca ad ogni uomo di buona volontà, anche con quel massimo momento ascetico che è l’amore per le parole nel loro significato autentico. Un cattolico non sopporta i discorsi “a sproposito”, né di mancare di eleganza o di spessore spirituale nell’esprimersi, dato che la parola deve corrispondere a ciò che abbiamo nel cuore: essa deve, anzi, tracimare da un cuore colmo del Vangelo. Si finisce sempre col “vivere come si parla”.
Questa altissima grazia, legata al Verbo (verbum = parola) sia chiesta a Maria, unica Vergine del Silenzio, e doni a noi la verità e la gioia che sole possono colmare l’attesa dell’animo umano.