
In quel tempo, Gesù parlò dicendo: «Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che assomigliate a sepolcri imbiancati: all’esterno appaiono belli, ma dentro sono pieni di ossa di morti e di ogni marciume. Così anche voi: all’esterno apparite giusti davanti alla gente, ma dentro siete pieni di ipocrisia e di iniquità. Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che costruite le tombe dei profeti e adornate i sepolcri dei giusti, e dite: “Se fossimo vissuti al tempo dei nostri padri, non saremmo stati loro complici nel versare il sangue dei profeti”. Così testimoniate, contro voi stessi, di essere figli di chi uccise i profeti. Ebbene, voi colmate la misura dei vostri padri» (Gv 23,27 – 32).
Gesù, nella condanna del comportamento degli scribi e dei farisei, ci descrive quale deve essere il comportamento dei cristiani che hanno responsabilità di guida dei loro fratelli. La vera guida fa da cavia: vive quello che insegna e lo sperimenta su di sé, così ciò che è, grida molto più forte di ciò che dice. La vera guida, nelle sue scelte, è orientata solo dal vero amore a Cristo e a coloro che è chiamata a guidare. Non sceglie ciò che le dà stima, fama, onore, ammirazione. La vera guida, come un santo genitore, come Rut, che pure non era israelita ma prestò fedeltà e servizio alla suocera Noemi, rimasta vedova, e divenne più santa di colei che l’avvicinò alla Legge di Mosè, gradisce che il figlio divenga migliore di sé, a prova di un’amorevole cura educativa.
La vera guida gioisce se coloro che è chiamata a guidare giungono a più alta perfezione, maggior santità, creatività e ammirazione di lei, non si lascia dominare dall’invidia verso i suoi fratelli: ciò sarebbe un abominio innanzi a Dio. E non si lascia dominare dal bisogno di ammirazione. L’autorità è conformata a Cristo, che non venne per raccogliere ma per seminare, mediante un servizio per cui diede la vita per tutti.
Nella storia biblica osserviamo che Dio non mandava i profeti solo nei tempi di calamità, ma soprattutto prima delle catastrofi, quando ancora la gente si illudeva che tutto andasse bene. I profeti erano sempre controcorrente e predicevano disgrazie e devastazioni. Nessuno ascoltava volentieri questo genere di soggetti, perciò vennero lapidati: l’opinione pubblica voleva sbarazzarsi di loro. Ad ogni crimine si cerca il colpevole: così vuole la giustizia, rappresentata con gli occhi bendati. Anche se non viene ritrovato l’autore principale del misfatto, questa giustizia si accontenta di trovare almeno un colpevole, perché la punizione di quell’uno soddisfi tutti gli altri. Questo modo di ragionare non corrisponde al pensiero della Bibbia. Quando parla del peccato, l’autore biblico usa sempre il plurale, inteso come tutto il popolo. Se uno solo ha commesso un crimine, tutto il popolo deve purificarsi. Il crimine è dentro il popolo, dunque è dentro ciascuno di noi, e tutti devono essere puniti. La mentalità individualista di oggi non comprende questo atteggiamento: si è perso il senso del peccato universale, che invece è assai vivo in Fedor Dostoevskij (1821-81). Il diavolo, dice Dostoevskij, approfitta del principio divide et impera, mentre tutti sono responsabili di tutti.