In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: «Il regno dei cieli sarà simile a dieci vergini che presero le loro lampade e uscirono incontro allo sposo. Cinque di esse erano stolte e cinque sagge; le stolte presero le loro lampade, ma non presero con sé l’olio; le sagge invece, insieme alle loro lampade, presero anche l’olio in piccoli vasi. Poiché lo sposo tardava, si assopirono tutte e si addormentarono. A mezzanotte si alzò un grido: “Ecco lo sposo! Andategli incontro!”. Allora tutte quelle vergini si destarono e prepararono le loro lampade. Le stolte dissero alle sagge: “Dateci un po’ del vostro olio, perché le nostre lampade si spengono”. Le sagge risposero: “No, perché non venga a mancare a noi e a voi; andate piuttosto dai venditori e compratevene”. Ora, mentre quelle andavano a comprare l’olio, arrivò lo sposo e le vergini che erano pronte entrarono con lui alle nozze, e la porta fu chiusa. Più tardi arrivarono anche le altre vergini e incominciarono a dire: “Signore, signore, aprici!”. Ma egli rispose: “In verità io vi dico: non vi conosco”. Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l’ora» (Mt 25,1 – 13)
I matrimoni, nell’Antichità, avvenivano spesso mediante la traslazione della sposa dalla propria abitazione paterna verso la nuova casa. Era la “forma” latina del matrimonio, che poteva dirsi celebrato in modo autentico solo quando era avvenuto questo movimento. Chiaramente, non era un modo molto semplice per accertare l’effettiva consumazione del rito. Infatti, dal XVI secolo, con il concilio di Trento, la Chiesa ha fissato una volta per tutte la forma celebrativa del matrimonio tutt’ora vigente. Se non viene ottemperata, il matrimonio è nullo per vizio formale.
In antico, un corteo festoso ed euforico, composto da amici e parenti dello sposo, si recava con torce e tamburi, a notte inoltrata, presso la casa della sposa, che veniva prelevata e accompagnata presso l’abitazione della nuova famiglia. Era d’uso attendere con lampade accese l’arrivo del corteo, dopo di che la porta veniva chiusa. Non essendo mai sicura l’ora dell’arrivo, era indispensabile avere con sé un’abbondante riserva di olio. Chi arrivava in ritardo non poteva entrare, doveva restare fuori. La vigilanza, cioè la retta tensione alla volontà di Dio, rende responsabili. E’ necessario passare dall’irresponsabilità alla responsabilità totale, legata alla vigilanza, cioè attesa dello Sposo della nostra anima, che dà sante conferme interiori.
Ogni nostro atto ha delle conseguenze. Ogni nostro modo di pensare, sentire, agire, produce effetti negativi o positivi su noi stessi, sugli altri, sulla creazione. Per esempio, la persona che non prega non solo perde comprensione, ma non capisce neanche di mancare di comprensione. Immersa in un vortice di attività, soffoca in sé la vita soprannaturale e vive la vita a livello istintuale. Non soffochiamoci nel limite: c’è un infinito dentro di noi!
La vigilanza è la preghiera, che è l’atto di unificazione con Dio, è l’espressione del mio desiderio di riunificarmi con Dio anche se ancora non lo posseggo; già col desiderio lo posseggo, pur non possedendolo. Liberiamoci dal tentare di spegnere la nostra sete dell’illimitato, soffocandola nelle cose che sono limitate, contingenti, caduche!
L’olio è simbolo della luce eterna: ma cosa serve illuminare la casa se in essa nessuno aspetta?
La metafora delle vergini e dello sposo è nella tradizione biblica. La Scrittura è la rivelazione del Dio vivo, la sua vita non è nello spazio, né del tempo. La vita dell’eterno incontro fra il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, delle tre Persone nell’unità, è nella luce inaccessibile. In questa vita l’accesso è aperto per chi, come noi, aspetta la beata speranza e la venuta del nostro Signore Gesù Cristo.