In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Siate pronti, con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese; siate simili a quelli che aspettano il loro padrone quando torna dalle nozze, in modo che, quando arriva e bussa, gli aprano subito. Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità io vi dico, si stringerà le vesti ai fianchi, li farà mettere a tavola e passerà a servirli. E se, giungendo nel mezzo della notte o prima dell’alba, li troverà così, beati loro!» (Lc 12,35 – 38).
Le squadre di pronto intervento, quando non vi è nulla in atto, passeggiano tranquillamente nel cortile o riposano in branda, ma sono sempre attrezzate di tutto punto. Come squilla la sirena, sono pronte a scattare e a salire sui mezzi di soccorso. Nel Vangelo odierno il clima è lo stesso, anche se espresso secondo il costume del tempo: lucerne accese e fianchi cinti. La velocità di movimento è una virtù indispensabile quando succede qualcosa all’improvviso. Nella giungla, dietro ad ogni albero c’è un pericolo; nelle città si cerca di prevenire, ma anche una megalopoli è una giungla. Molte cose si possono prevenire e prevedere, tranne una: l’ora della morte. Innanzi ad essa siamo tutti come quell’Uomo che Pilato mostrò alla folla: nudi, bisognosi d’amore. Le immagini dei dannati hanno sempre scosso chiunque, perché siamo fruitori e non padroni della vita, di cui renderemo conto a Dio.
La lucerna accesa del brano evangelico è simbolo di questa Salvezza, rappresenta la Grazia santificante, cioè la vita stessa di Dio donata a noi. Essa ha un senso pienamente positivo, sarebbe come affermare: “vivi la vita eterna già al presente, così che neppure la morte potrà offuscarla”. Per i cristiani la morte è preparazione alla vita vera, quella eternamente beata. E’ come quando stiamo per incontrare una persona che non abbiamo mai visto, ma con cui siamo in contatto vivo già da molto tempo. L’incontro può essere imprevisto, ma se si tratta di qualcuno che ci ama sappiamo che questo imprevisto sarà gioioso. Il Vangelo ci annuncia che il Signore diventerà nostro servitore, come ci aveva promesso prima della morte: «Non vi chiamo più servi, ma amici» (Gv 15,15).
La vigilanza è una conseguenza dell’amore. Quando rispondi alla chiamata di Dio, il dono della fede diventa presenza vigile, attenta a non perdere un buon consiglio e ogni buona occasione che manda il Cielo. Chi attende Dio, che è Padre, si impegna a vivere da figlio fedele, come se il Padre fosse sempre presente.
La vigilanza, fecondata dai doni dello Spirito Santo, diventa santo timor di Dio, il più tangibilmente quotidiano e permanente dei doni del Paraclito. La vigilanza è sempre unita alla preghiera, sorgente di tutte le grazie che si estendono nella giornata, di cui il Signore prende possesso, suggerendo intuizioni saporose. E’ l’effetto della preghiera: il rivelarsi di Dio a noi è un possesso reciproco. Il bello della preghiera è questo: sperimentiamo di essere realmente posseduti da Dio, siamo da Lui conosciuti e lo conosciamo come Lui ci conosce. L’amore di Dio libera integralmente.