
In quel tempo, Gesù diceva ai discepoli: «Fatevi degli amici con la ricchezza disonesta, perché, quando questa verrà a mancare, essi vi accolgano nelle dimore eterne. Chi è fedele in cose di poco conto, è fedele anche in cose importanti; e chi è disonesto in cose di poco conto, è disonesto anche in cose importanti. Se dunque non siete stati fedeli nella ricchezza disonesta, chi vi affiderà quella vera? E se non siete stati fedeli nella ricchezza altrui, chi vi darà la vostra? Nessun servitore può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza». I farisei, che erano attaccati al denaro, ascoltavano tutte queste cose e si facevano beffe di lui. Egli disse loro: «Voi siete quelli che si ritengono giusti davanti agli uomini, ma Dio conosce i vostri cuori: ciò che fra gli uomini viene esaltato, davanti a Dio è cosa abominevole» (Lc 16,9 – 15).
Riguardo all’uso del denaro, questo brano del Vangelo propone delle espressioni particolarmente concise, che generano subito una profonda e costante tensione interiore e chiamano ad una decisione radicale. D’altro canto, la vita è sempre una continua scelta tra onestà e disonestà, tra fedeltà e infedeltà, tra egoismo e altruismo.
Mammona è un termine punico-aramaico, che ha corso quotidiano nel nostro linguaggio e serve ad indicare il guadagno. Tutti sappiamo l’importanza di questo fattore nella vita civile: è inseparabile dal commercio ed è impensabile un commercio senza guadagno. Osservando la questione da questa angolatura, il richiamo che ci fa il Vangelo sembra utopistico. E’ molto indicativo quanto afferma il Siracide: «A stento un commerciante sarà esente da colpe, un rivenditore non sarà immune dal peccato. Per amor del denaro molti peccano, chi cerca di arricchire procede senza scrupoli. Fra le giunture delle pietre si conficca il piolo, tra la compra e la vendita si insinua il peccato. Se uno non si aggrappa in fretta al timor del Signore la sua casa andrà presto in rovina» (Sir 26,29; 27,1 – 3).
Il movimento dei Fratelli Boemilo prendeva questo invito alla lettera e considerava il commercio indegno di un cristiano, mentre la dottrina sociale della Chiesa distingue tra guadagno lecito e illecito. Certamente non è semplice definire quando un guadagno è giusto: il problema è molto complesso, per tutti i fattori di incertezza che presenta la vita economica di uno Stato. E’ praticamente impossibili dare una definizione aprioristica.
Ne consegue che il problema riguarda il contesto complessivo della vita e, soprattutto, la coscienza. Si può cercare di dire con altre parole quanto propone la pagina evangelica odierna: interessiamoci ad un guadagno che ci garantisca un’esistenza decorosa e viviamo con lo sguardo rivolto a Dio, senza fare l’inverso, come capita purtroppo spesso, cioè di vivere unicamente per lavorare e guadagnare. Il giusto guadagno corrisponde al giusto talento che mi serve perché esso sia “trafficato”, e quindi io diventi santo; il denaro è per la vita, non la vita per il denaro. Chi si rivolge al Padre, sa fare scelte sapienziali, quindi uniche e irripetibili, direttamente legate alla coscienza, anche riguardo al denaro.