In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «State attenti a voi stessi, che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita e che quel giorno non vi piombi addosso all’improvviso; come un laccio infatti esso si abbatterà sopra tutti coloro che abitano sulla faccia di tutta la terra. Vegliate in ogni momento pregando, perché abbiate la forza di sfuggire a tutto ciò che sta per accadere e di comparire davanti al Figlio dell’uomo» (Lc 21,34 – 36).
In un racconto allegorico di Tolstoj, un uomo è in bilico sull’abisso, appeso ad un cespuglio. Due topi, uno bianco e uno nero, simbolo del giorno e della notte dell’anima, stanno rodendo quest’arbusto alla radice. Ma l’uomo non si preoccupa d’altro che dei frutti dolci che scopre sul cespuglio, li coglie e li gusta.
La tragedia della vita è ignorarne le conseguenze. Nel racconto della Genesi sulla rovina di Sodoma e Gomorra, durante la fuga dalla città in fiamme, la moglie di Lot guarda indietro e diventa una statua di sale (Gn 19,26). E’ il simbolo del peccato, che è come una paralisi, come se il cuore si trasformasse in un blocco di pietra, pesante e immobile. Dopo è difficile cambiare vita, anche se ci si rende conto che così non va.
Non è di alcun riposo veleggiare sulle coste della Liguria, se abbiamo un esame il giorno dopo. Disponiamo di una giornata di libertà dagli impegni, ma il cuore è tutt’altro che libero, è appesantito da preoccupazioni, per cui non gusteremmo neanche un ottimo pasto. Come è difficile allora non vedere la vita unicamente come «valle di lacrime».
Eppure la liturgia romana, prima di iniziare la lettura del prefazio, ci esorta all’elevazione: «In alto i nostri cuori». Ma spesso il nostro cuore è legato a terra. C’è un solo modo per liberarlo. Il grande monaco egiziano Isaia di Gaza o Abate Isaia affermava che il cuore diventa leggero come una piuma sotto il soffio dello Spirito. Ma la piuma non deve essere bagnata dalla pioggia e inumidita dalle nuvole, che impediscono il passaggio dei raggi del sole. Il sole asciuga la piuma e la fa volare. Il nostro sole è Cristo, e i raggi le sue parole.
«I vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita…vegliate in ogni momento pregando» (Lc 21,34.36). L’apostolo Paolo, oltre alla preghiera, ci chiede di essere tutt’altro che minimalisti in morale: «Crescete e sovrabbondate nell’amore», sia tra di noi che verso tutti, per rendere saldi i nostri cuori e irreprensibili nella santità (cfr 1Ts 3,12 – 14). Servire Dio, anche in mezzo a sconvolgimenti, è come dimorare in una città posta sopra un monte. «In quei giorni», annuncia il profeta Geremia, Gerusalemme vivrà tranquilla, e sarà chiamata: «Signore, nostra giustizia» (Ger 33,16). Entriamo nella vita eterna perché abbiamo adempiuto bene ai nostri doveri, ma chi si tormenta nel farlo finisce per dimenticare perché lo sta facendo. Il riposo domenicale è un’istituzione ereditata dal sabato ebraico, ed è molto importante. Dopo sei giorni di fatica, dobbiamo avere la possibilità di fermarci e pensare alla vita futura. Il settimo giorno della settimana, dicono gli autori orientali, ci deve ricordare l’ottavo giorno, la vita dopo la risurrezione dei morti, l’eternità.