
Mentre saliva a Gerusalemme, Gesù prese in disparte i dodici discepoli e lungo il cammino disse loro: “Ecco, noi saliamo a Gerusalemme e il Figlio dell’uomo sarà consegnato ai capi dei sacerdoti e agli scribi; lo condanneranno a morte e lo consegneranno ai pagani perché venga deriso e flagellato e crocifisso, e il terzo giorno risorgerà”. Allora gli si avvicinò la madre dei figli di Zebedeo con i suoi figli e si prostrò per chiedergli qualcosa. Egli le disse: “Che cosa vuoi?”. Gli rispose: “Di’ che questi miei due figli siedano uno alla tua destra e uno alla tua sinistra nel tuo regno”. Rispose Gesù: “Voi non sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che io sto per bere?”. Gli dicono: “Lo possiamo”. Ed egli disse loro: “Il mio calice, lo berrete; però sedere alla mia destra e alla mia sinistra non sta a me concederlo: è per coloro per i quali il Padre mio lo ha preparato”. Gli altri dieci, avendo sentito, si sdegnarono con i due fratelli. Ma Gesù li chiamò a sé e disse: “Voi sapete che i governanti delle nazioni dominano su di esse e i capi le opprimono. Tra voi non sarà così; ma chi vuole diventare grande tra voi, sarà vostro servitore e chi vuole essere il primo tra voi, sarà vostro schiavo. Come il Figlio dell’uomo, che non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti”. (Mt 20, 17-28)
Viene qui evidenziata l’incomprensione dei discepoli: Gesù aveva predetto il suo annientamento, e i discepoli sognano i primi seggi in un regno terreno. Matteo cerca di salvaguardare la reputazione dei figli di Zebedeo mandando avanti la madre: non sono loro, come in Marco, che hanno la sfacciataggine di chiedere a Gesù i primi posti, ma Salome, la madre. La salita al Calvario aveva esaltato i tre apostoli più seguiti da Gesù, presenti alla risurrezione della figlia di Giairo, nella Trasfigurazione e nel Getsemani.
Essi credono imminente l’inaugurazione del regno messianico, che concepiscono come mondano e cercano di accaparrarsi le poltrone migliori. I due discepoli avrebbero perseverato nella sequela di Gesù, condividendone i patimenti. In effetti, Giacomo venne martirizzato da Erode Agrippa nel 44 d.C. circa. Giovanni invece non morì martire. Eppure è associato alla sorte di Giacomo. Ciò conferma che probabilmente la profezia di Gesù non è una vaticinium ex eventu, una previsione dell’evento. Gesù riconosce che i due discepoli parteciperanno alla sua sorte di persecuzione e morte, ma spetta al Padre assegnare il premio, che rappresenta un dono della sua libera iniziativa di amore.
Nello sguardo che diamo al crocifisso, vi sia sempre tanta ammirazione e fede. Ma Cristo si imita in Maria, dove non vi sono né sangue, né miracoli, ma solo fede e quotidianità, ordinata da una intelligenza che la fede illumina e diviene passione famigliare e lavorativa. Le testimonianze straordinarie non vanno mai cercate; vengono come dono che solo il cielo può concedere.
(cfr A. Poppi – Sinossi dei quattro vangeli)