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Il pensiero del giorno

28 Marzo 2022 - Autore: Don Andrea Nizzoli

Trascorsi due giorni, partì di là per la Galilea. Gesù stesso infatti aveva dichiarato che un profeta non riceve onore nella propria patria. Quando dunque giunse in Galilea, i Galilei lo accolsero, perché avevano visto tutto quello che aveva fatto a Gerusalemme, durante la festa; anch’essi infatti erano andati alla festa. Andò dunque di nuovo a Cana di Galilea, dove aveva cambiato l’acqua in vino. Vi era un funzionario del re, che aveva un figlio malato a Cafàrnao. Costui, udito che Gesù era venuto dalla Giudea in Galilea, si recò da lui e gli chiedeva di scendere a guarire suo figlio, perché stava per morire. Gesù gli disse: “Se non vedete segni e prodigi, voi non credete”. Il funzionario del re gli disse: “Signore, scendi prima che il mio bambino muoia”. Gesù gli rispose: “Va’, tuo figlio vive”. Quell’uomo credette alla parola che Gesù gli aveva detto e si mise in cammino. Proprio mentre scendeva, gli vennero incontro i suoi servi a dirgli: “Tuo figlio vive!”. Volle sapere da loro a che ora avesse cominciato a star meglio. Gli dissero: “Ieri, un’ora dopo mezzogiorno, la febbre lo ha lasciato”. Il padre riconobbe che proprio a quell’ora Gesù gli aveva detto: “Tuo figlio vive”, e credette lui con tutta la sua famiglia. Questo fu il secondo segno, che Gesù fece quando tornò dalla Giudea in Galilea. (Gv 4, 43-54)


“La misura dell’umanità si determina essenzialmente in rapporto con la sofferenza e col sofferente. Questo vale come per il singolo come per la società. Una società che non riesce ad accettare i sofferenti e non è capace di contribuire mediante la com-passione a far si che la sofferenza venga condivisa e portata anche interiormente è una società crudele e disumana. La società però, non può accettare i sofferenti e sostenerli nella loro sofferenza, se i singoli non sono essi stessi capaci di ciò e, d’altra parte il singolo non può accettare la sofferenza dell’altro se egli personalmente non riesce a trovare nella sofferenza un senso, un cammino di purificazione e di maturazione, un cammino di speranza. Accettare l’altro che soffre significa, infatti, assumere in qualche modo la sua sofferenza che in qualche modo diviene anche mia. Ma proprio perché ora è divenuta sofferenza condivisa, nella quale c’è la presenza di un altro, questa sofferenza è penetrata dalla luce dell’amore.

La parola latina con-solatio, consolazione, lo esprime in maniera molto bella suggerendo un essere-con nella solitudine, che allora non è più solitudine. Ma anche la capacità di accettare la sofferenza per amore del bene, della verità e della giustizia, è costitutiva per la misura dell’umanità, perché se, in definitiva, il mio benessere, la mia incolumità è più importante della verità e della giustizia, allora vige il dominio del più forte; allora regnano la violenza e la menzogna.

E infine, anche il “sì” all’amore è fonte di sofferenza, perché l’amore esige sempre espropriazione del mio io, nelle quali mi lascio potare e ferire. L’amore non può affatto esistere senza questa rinuncia anche dolorosa a me stesso, altrimenti diventa puro egoismo e, con ciò, annulla se stesso come tale”. (Papa Benedetto XVI° – Enciclica Spe salvi, n° 38)


Beato Antonio (Patrizi) da Monticiano  

Eremita agostiniano

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