In quel tempo, Pietro si voltò e vide che li seguiva quel discepolo che Gesù amava, colui che nella cena si era chinato sul suo petto e gli aveva domandato; “Signore, chi è che ti tradisce?” Pietro dunque, come lo vide, disse a Gesù: “Signore, che cosa sarà di lui?”. Gesù gli rispose: “Se voglio che rimanga finché io venga, a te che importa? Tu seguimi”. Si diffuse perciò tra i fratelli la voce che quel discepolo non sarebbe morto. Gesù però non gli aveva detto che non sarebbe morto, ma “Se voglio che egli rimanga finché io venga, a te che importa?”. Questi è il discepolo che testimonia queste cose e le ha scritte, e noi sappiamo che la sua testimonianza è vera. Vi sono ancora molte altre cose compiute da Gesù che, se fossero scritte una per una, penso che il mondo stesso non basterebbe a contenere i libri che si dovrebbero scrivere. (Gv 21, 20 – 25)
Questo è uno dei momenti più importanti per Pietro. Riceve la sua missione definitiva e gli fu detto quale sarebbe stata la sua morte. Presso di lui però, vi era l’apostolo Giovanni, con cui aveva condiviso tre anni di vicinanza con il Salvatore. Nulla di strano che si interessi della sorte di un compagno di squadra. È un atto di amicizia che rafforza i rapporti di famigliarità. È però indispensabile che sia sincero e veramente caritatevole. Altrimenti, tutti ben sappiamo, che la curiosità, l’invidia, il parlare a sproposito, i paragoni fuori luogo, la possono far da padrone.
Sicuramente la frase di Gesù, non è molto gentile. È una presa di posizione tagliente, ma indispensabile, quando una persona inizia ad essere indelicata e ad invadere uno spazio che dedichiamo soltanto al rapporto con Dio. C’è un diritto al riserbo che ci chiede il Signore, soprattutto se parliamo della sorte di una persona. Noi stessi non sapremmo rispondere a certe domande sulla nostra esistenza, perché Dio ama la vita al presente, concede grazie da cogliere qui ed ora, e tanto della sua volontà si svela giorno per giorno. In tal caso è bello avere una santa e spirituale avvertenza, perché la curiosità farebbe soltanto danni, anche a noi stessi. Invadere la sfera del rapporto famigliare con Dio del nostro prossimo, non farebbe che distrarci dal nostro scopo.
Oggi tocchiamo con mano un atteggiamento basilare nella teologia come nella catechesi: “L’umiltà del teologo”, che prevede di fermarsi nell’indagine ragionata. Mai pretendere di capire tutto di Dio e della vita, non giova alla fede, all’amore e alla vita. Porta soltanto ansia. Dove non arriva la ragione, arriva la fede; da vivere al presente, istante per istante. Riposati sulla Provvidenza del Padre. Gesù desidera un rapporto di personale amicizia con ciascuno di noi, che sia veramente fiduciale e caloroso, affinché viviamo con lui e la sua stessa vita. Da parte nostra, è un atto di sincerità, prendere posizione come ha fatto Gesù e chiudere un discorso dicendo: “Scusami, ma questa questione è riservata e personale”.
È significativo l’episodio della vita di sant’Antonio abate, quando rifletteva sul tema del Giudizio finale, cercando di capire chi siano coloro che si salvano e chi i dannati. Ricevette risposta direttamente dal cielo e udì una frase: “Antonio, bada a te stesso!” C’è un interessamento lecito e positivo, che è d’ausilio all’amicizia e ai buoni rapporti, e una invadenza che distrugge. Evitare di fare domande allora, è dare fiducia piena al prossimo.
È ciò che Dio desidera nella vita di fede! Diamo fiducia al nostro Signore eterno, quando ci abbandoniamo alla Provvidenza e poniamo la nostra sorte nell’amore della sua volontà.