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Il pensiero del giorno

1 Novembre 2022 - Autore: Don Andrea Nizzoli


 (Ap 7, 2 – 4.9 – 14; Sal 23; 1Gv 3, 1 – 3; Mt 5, 1 – 12)

I santi che vengono celebrati nella solennità del primo novembre non sono solo quelli canonizzati sugli altari, ma è tutta l’immensa schiera della chiesa trionfante in paradiso che viene celebrata in un’unica festa. Quindi è la festa di tutte le anime salve che compongono la Gerusalemme del cielo. Per i devoti di un santo, è una ricorrenza che non ha nulla di inerente al passato, i santi ci amano con una azione sulla nostra vita spirituale e materiale tutta al presente. I tuoi santi hanno un rapporto con te intimo vivido e privilegiato. Sono coloro che hanno percorso la tua stessa via di perfezione, dicono subito qualcosa a te personalmente e fecondano la tua vita spirituale, dando una maggior comprensione del messaggio cristiano. Questa festa dunque non si può limitare ad una celebrazione o ad una pura richiesta di aiuto. San Bernardo di Chiaravalle a riguardo diceva: “Non siamo pigri nell’imitare coloro che siamo felici di celebrare”.

Nella prima lettera di Pietro leggiamo: “Ad immagine del Santo che vi ha chiamati, diventate santi anche voi in tutta la vostra condotta; poiché sta scritto: Voi sarete santi, perché io sono santo” (1Pt 1, 15 – 16). La motivazione di fondo della santità è chiara fin dall’inizio ed è che lui, Dio, è santo. La santità è la sintesi, nella Bibbia, di tutti gli attributi di Dio. Nel libro di Isaia, quando il profeta vede Dio, i serafini lo acclamano Santo, Santo, Santo. Ma nel senso di “separato”. Perché Dio è “totalmente altro” rispetto a quanto è possibile pensare. Nell’antico Testamento per accostarsi a Dio si entra in un luogo, con alcuni oggetti sacri e mediante un rito, con purezza assoluta e osservanza della legge. Nel Nuovo Testamento invece, si parla di “nazione santa” verso tutti i cristiani. Per San Paolo tutti i battezzati sono vocati alla santità, cioè chiamati ad essere santi e immacolati al suo cospetto nella carità (Ef 1, 4). La santità non è più un fatto rituale o legale, ma morale; non risiede nelle mani, ma nel cuore; non si decide fuori, ma dentro l’uomo e si riassume nella carità.

I mediatori della santità di Dio non sono più luoghi, come il tempio di Gerusalemme, riti o oggetti e leggi, ma una persona, Gesù Cristo. Essere santo non consiste tanto in essere separato da questo o da quello, quanto in un essere unito a Gesù Cristo. In Gesù Cristo è la santità stessa di Dio che ci raggiunge di persona, non un suo lontano riverbero. Egli è “il Santo di Dio” (Gv 6, 69). In due modi entriamo in contatto con Dio: per appropriazione e per imitazione. La santità è dono della grazia ed opera di tutta la Trinità. Apparteniamo più a Gesù che a noi stessi essendo stati ricomperati a caro prezzo, ne consegue che, inversamente, la santità di Cristo ci appartiene più della nostra santità. È quasi un colpo di audacia. Per noi dunque, possiamo reclamare la sua santità come nostra, a tutti gli effetti. Un colpo di audacia è anche quello che reclama San Bernardo, quando grida: “Io, quanto mi manca me lo usurpo dal costato di Cristo!”. È come rapire il Regno dei cieli. È un bel colpo da ripetere spesso nella nostra vita. Dopo di che, cioè dopo la fede e i sacramenti vi è l’imitazione, cioè lo sforzo personale delle buone opere. Non come mezzo staccato e diverso, ma come l’unico mezzo adeguato di manifestare la fede, traducendola in atto. Nel NT due verbi si alternano a proposito della santità, uno all’indicativo e uno all’imperativo: “siete santi”, “siate santi”. I cristiani sono santificati e santificandi. Quando Paolo scrive: “Questa è la volontà di Dio, la vostra santificazione”, è chiaro che intende proprio questa santità che è frutto di impegno personale.

(cfr. R. Cantalamessa – Gettate le vostre reti)

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