“State attenti a voi stessi, che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita e che quel giorno non vi piombi addosso all’improvviso; come un laccio infatti esso si abbatterà sopra tutti coloro che abitano sulla faccia di tutta la terra. Vegliate in ogni momento pregando, perché abbiate la forza di sfuggire a tutto ciò che sta per accadere e di comparire davanti al Figlio dell’uomo”. (Lc 21, 34-36)
I Padri del deserto, grandi maestri spirituali dei primi secoli sostenevano che non può esserci preghiera senza vigilanza del cuore. La vigilanza a sua volta va a braccetto con l’attenzione. Sono due atteggiamenti profondamente legati fra loro. L’attenzione è l’opposto della superficialità e della distrazione, perché dice la capacità di fissare lo sguardo su ciò che è essenziale e verso di esso restare in tensione. È l’attesa (attendere, in latino, significa tendere a, essere teso verso). La vigilanza, poi, è la custodia dell’attenzione: non si può essere attenti se si è appesantiti, assonnati, se manca una sobrietà di cuore e di mente. «In senso stretto, la vigilanza è l’atteggiamento di un’anima ben sveglia, presente a sé stessa circospetta e attenta a non lasciarsi sorprendere dall’avversario demoniaco che cerca di introdursi nella mente e nel cuore».
Ad un fratello illuso della tranquillità del suo cuore, un anziano monaco rispose che solo un cuore vigilante rende possibile un discernimento della lotta: «Il fratello continuava a dirgli: Io non vedo lotte nel mio cuore. L’anziano gli rispose: Tu sei un edificio aperto da tutti i lati. Chiunque entra da te, e ne esce a proprio piacimento. E tu, tu non sai ciò che accade. Se tu avessi una porta, se tu la chiudessi ed impedissi ai cattivi pensieri di entrare, allora li vedresti fermi all’esterno a combattere contro di te». È richiesta nella spiritualità del deserto la porta della vigilanza per impedire ai sensi e al corpo di cadere nei lacci del nemico. Ma guardate anche oggi la psicologia ci indirizza verso la medesima strada. Qualsiasi psicologo sostiene che l’uso sregolato e maldestro dello smartphone disturba l’equilibrio mentale dei ragazzi e riduce attenzione e capacità di concentrazione. E sapete perché? Perché nel web non ci sono cornici e non c’è confine tra una cosa e l’altra. Tutto continua in tutto. Invece c’è bisogno di distinguere, di separare, di ordinare.
Quindi oggi come allora è necessaria la vigilanza e l’attenzione.
Sapete in greco attenzione si dice prosoché. E preghiera proseuchè. Pensate come si somigliano. Non per questo i padri dicevano che l’attenzione è madre della preghiera.
(cfr. Don Franco Mastrolonardo – Commento alla Parola)