Poi aggiunse: “In verità io vi dico: nessun profeta è bene accetto nella sua patria. Anzi, in verità io vi dico: c’erano molte vedove in Israele al tempo di Elia, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una grande carestia in tutto il paese; ma a nessuna di esse fu mandato Elia, se non a una vedova a Sarepta di Sidone. C’erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Eliseo; ma nessuno di loro fu purificato, se non Naamàn, il Siro”.
All’udire queste cose, tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno. Si alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte, sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù. Ma egli, passando in mezzo a loro, si mise in cammino. (Lc 4, 24-30)
L’ ostinazione dei Nazareni
La ragionevole prudenza verso i fenomeni profetici non è la stessa cosa dell’ostinazione nel pregiudizio. A Nazareth succede quello che più o meno avviene anche sotto i nostri occhi. In un paese dove tutti si conoscono, si rispettano e si aiutano quando c’è bisogno, le cose cambiano quando arriva qualcuno che vuole emergere sopra gli altri. Si risvegliano allora sentimenti di invidia, a volte incontrollabili. Gli autori orientali chiamano l’invidia “tristezza psicologica”.
È un sentimento strano. La tristezza ci fa credere talvolta che basterebbe eliminare qualcuno per ritrovare la pace. La tristezza è un odio, e quest’odio porta i Nazareni quasi a commettere un omicidio.
Ma l’unico odio che un cristiano deve provare è quello per il peccato. L’unica tristezza del cristiano è la tristezza del peccato che vede commettere.
La tristezza causata dal successo di un altro è il contrario dell’amore. L’amore si oppone all’invidia, e deve occupare tutto il cuore perché l’invidia non prevalga.
(cfr. T. Spidlik – Il vangelo di ogni giorno – Vol. II – p. 49)