“In verità, in verità io vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta, ma vi sale da un’altra parte, è un ladro e un brigante. Chi invece entra dalla porta, è pastore delle pecore. Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori. E quando ha spinto fuori tutte le sue pecore, cammina davanti a esse, e le pecore lo seguono perché conoscono la sua voce. Un estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei”. Gesù disse loro questa similitudine, ma essi non capirono di che cosa parlava loro.
Allora Gesù disse loro di nuovo: “In verità, in verità io vi dico: io sono la porta delle pecore. Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati. Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo. Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza. (Gv 10, 1-10)
Per capire l’importanza che ha nella Bibbia il tema del pastore, bisogna rifarsi alla storia. Israele fu, all’inizio, un popolo di pastori nomadi. I Beduini del deserto ci danno oggi un’idea di quella che fu un tempo la vita delle tribù d’Israele. In questa società, il rapporto tra pastore e gregge non è solo di tipo economico, basato sull’interesse. Si sviluppa un rapporto quasi personale tra il pastore e il gregge. Giornate e giornate passate insieme in luoghi solitari a osservarsi, senza anima viva intorno. Il pastore finisce per conoscere tutto di ogni pecora; la pecora riconosce e distingue, tra tutte, la voce del pastore che spesso parla alle pecore. Questo spiega come mai, per esprimere il suo rapporto con l’umanità, Dio si è servito di questa immagine, oggi divenuta ambigua (nessuno vuole essere la pecora di un gregge!): “Tu pastore d’Israele, ascolta, tu che guidi Giuseppe come un gregge” (Sal 80,2). Nel medesimo salmo è espressa la fiducia e la sicurezza del credente nell’azione pastorale del Signore: “Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla; su pascoli erbosi mi fa riposare ad acque tranquille mi conduce”. Se non che, il vangelo esprime la figura di un pastore un po’ anomalo. Si dice infatti che sta davanti alle pecore ed esse lo seguono.
Generalmente, nella realtà zootecnica, accade il contrario. Davanti e lateralmente stanno i cani da pastore che osservano sempre il gregge, da ultimo viene il pastore, che all’occorrenza usa il bastone. Gesù è un pastore che parla al cuore con parole gravide di significato; la bellezza e autorevolezza della sua voce è inimitabile. L’impressione, quando preghiamo, è di parlare con qualcuno che ci conosce e sa di cosa abbiamo bisogno. La conversione è spesso descritta come un sentirsi chiamati per nome, da chi conosce tutto di noi stessi. È una storia di liberazione, uscendo linearmente senza vie tortuose, come da una porta, da un recinto angusto, seguendo Gesù che ci precede e lascia ognuno libero di seguirlo senza alcuna forzatura. Gesù ti porta fuori dai tuoi inganni che ti fanno solo sopravvivere e intanto ti porta all’intimo di te stesso. Dio è sempre una voce, che non solo conosco come buona ma, “riconosco”, come confacente a ciò che è il cuore della verità. Egli è la tua verità, dove ti senti immagine e somiglianza del Figlio di Dio.