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Il pensiero del giorno

4 Maggio 2023 - Autore: Don Giuseppe Zanghì

 In verità, in verità io vi dico: un servo non è più grande del suo padrone, né un inviato è più grande di chi lo ha mandato. Sapendo queste cose, siete beati se le mettete in pratica. Non parlo di tutti voi; io conosco quelli che ho scelto, ma deve compiersi la Scrittura: Colui che mangia il mio pane ha alzato contro di me il suo calcagno. Ve lo dico fin d’ora, prima che accada, perché, quando sarà avvenuto, crediate che Io Sono. In verità, in verità io vi dico: chi accoglie colui che io manderò, accoglie me; chi accoglie me, accoglie colui che mi ha mandato» (Gv 13,16-20). 


Ci troviamo nel contesto dell’ultima cena di Gesù con i Dodici, dopo la lavanda dei piedi e prima dell’Istituzione dell’Eucaristia, Sacramento del Sacrificio di Cristo della Nuova ed eterna Alleanza stabilita da Gesù stesso nell’offerta del suo Corpo e del suo Sangue, da celebrare per sempre sino alla fine del mondo. Nel momento indicato dall’evangelista Giovanni, il Salvatore promette ai suoi la felicità come esito della pratica del suo Comandamento dell’amore vicendevole nel reciproco servizio.  Veramente nella partecipazione alla Santa Messa facciamo esperienza della felicità come frutto della condivisione dell’amore che, secondo l’esempio e l’insegnamento di Gesù, consiste nell’amore a Dio e al prossimo ex toto, cioè con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutta la mente (Mt 22, 37-40). 

Con l’umile gesto della lavanda dei piedi, il Salvatore Gesù volle insegnare che tutti i credenti in Lui devono sentire il dovere di essere ben preparati a partecipare alla S. Messa. Bisogna essere puri. Lo si deve essere proprio attraverso il servizio reciproco nell’aiutarci ad amare secondo l’esempio ricevuto dal Maestro. Dunque, amore. Non possesso, ma dono libero e gratuito, ordinato gerarchicamente. Innanzitutto bisogna amare, donarsi a Dio, con la spontanea obbedienza alla sua volontà, perché già Egli si dona a ciascuno di noi con il suo stesso Figlio nella potenza dello Spirito Santo. Poi, bisogna garantire a noi stessi la continua e regolare esperienza della  vita come dono curando il proprio rapporto con Dio. Quindi, vivere la vasta gamma delle relazioni personali con il prossimo nell’esperienza del dono, non del possesso. Ecco l’amore: Dio, noi, il prossimo come noi stessi, cioè sempre in Dio. 

Questa chiave evangelica di comprensione dell’amore, ci mette felicemente in crisi quando ci uniamo alla preghiera della Chiesa che il Celebrante effettua, in persona Christi, nella Terza Preghiera Eucaristica con le parole, “(…) i doni che ti abbiamo presentato (…)”. Così parteciperemo fruttuosamente al Sacrificio dell’Amore che avviene nella Consacrazione della S. Messa. Allora potremo evitare di cadere nell’infelice tristezza del terribile tradimento di Giuda e come Pietro ci lasceremo volentieri reintegrare nell’amore, dono di sé, servizio leale e disinteressato, libero e liberante. 

La Santa Sindone

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