« Giovanni, che era in carcere, avendo sentito parlare delle opere del Cristo, per mezzo dei suoi discepoli mandò a dirgli: “Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?”. Gesù rispose loro: “Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete: i ciechi riacquistano la vista , gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo. E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!”. Mentre quelli se ne andavano, Gesù si mise a parlare di Giovanni alle folle: “Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Una canna sbattuta dal vento? Allora, che cosa siete andati a vedere? Un uomo vestito con abiti di lusso? Ecco, quelli che vestono abiti di lusso stanno nei palazzi dei re!Ebbene, che cosa siete andati a vedere? Un profeta? Sì, io vi dico, anzi, più che un profeta. Egli è colui del quale sta scritto: Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero, davanti a te egli preparerà la tua via. In verità io vi dico: fra i nati da donna non è sorto alcuno più grande di Giovanni il Battista; ma il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui » (Mt 11,2-11)
Non è chiaro perché Giovanni mandi i messaggeri con questa domanda dato che ha già riconosciuto Gesù come il Messia (cfr. 3,11-12; Gv 1,29-34). Ascoltiamo la spiegazione che di questo fatto ci dà san Tommaso d’Aquino: « si può pensare, come fa il Crisostomo, che Giovanni abbia domandato non perché egli ignorasse, ma perché Cristo da sé convincesse i suoi discepoli. Infatti Cristo rispose istruendo i discepoli, col mostrare il valore delle opere compiute » (Somma Teologica, II-II, q. 2, a. 7, ad 2). « San Giovanni Battista è l’immediato precursore del Signore [cfr. At 13,24], mandato a preparargli la via [cfr. Mt 3,3]. “Profeta dell’Altissimo” (Lc 1,76), di tutti i profeti è il più grande [cfr. Lc 7,26] e l’ultimo [cfr. Mt 11,13]; egli inaugura il Vangelo [cfr. At 1,22; Lc 16,16]; saluta la venuta di Cristo fin dal seno di sua madre [cfr. Lc 1,41] e trova la sua gioia nell’essere “l’amico dello sposo” (Gv 3,29), che designa come “l’Agnello di Dio… che toglie il peccato del mondo” ( Gv 1,29 ). Precedendo Gesù “con lo spirito e la forza di Elia” (Lc 1,17), gli rende testimonianza con la sua predicazione, il suo battesimo di conversione ed infine con il suo martirio [cfr. Mc 6,17-29] » (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 523). « Gesù accompagna le sue parole con numerosi “miracoli, prodigi e segni” (At 2,22), i quali manifestano che in lui il Regno è presente. Attestano che Gesù è il Messia annunziato [cfr. Lc 7,18-23] » (Ibid., n. 547). L’episodio ha, come al solito, un valore che va ben al di là del fatto in se stesso, come tutti gli eventi scelti e narrati dagli evangelisti. Chi annunzia Gesù, sia esso sacerdote oppure no, deve guardarsi dall’annunciare se stesso al posto di Gesù. Deve cioè imitare l’esempio di Giovanni, il quale manda i discepoli da Gesù stesso perché apprendano da Lui quella verità di cui è ben convinto. In particolare questo è un rischio molto frequente nella vita e nel ministero di un sacerdote. La simpatia che eventualmente raccoglie è solo uno strumento per attirare la gente non attorno a sé stesso, ma attorno a Gesù. Il sacerdote è un “segno”, un sacramento della presenza di Gesù. Se il segno diventa autoreferente, cioè rimanda a se stesso, diventa allora uno schermo che impedisce di vedere Colui di cui è segno. Diventa un “idolo”. Il vero sacerdote è invece preoccupato di “sparire” come persona, per essere solo trasparenza di Gesù. Di essere solo “voce” – φωνή (Mc 1,3) ‘suono’ non ‘parola’ λόγος – che comunica la Parola eterna di Dio; di essere come l’amico dello Sposo che si mette subito in disparte nel momento in cui la Sposa e lo Sposo si incontrano… Le parole che sant’Ignazio usa per descrivere l’azione di “colui che da” gli esercizi, si applicano qui a puntino: « […] colui che propone ad un altro il modo e l’ordine per meditare o contemplare, deve esporre fedelmente la storia di tale meditazione o contemplazione, limitandosi a scorrere i punti principali e aggiungendo solo una breve e sommaria spiegazione, perché la persona che deve meditare, avendo prima colto il fondamento della verità storica, possa poi ragionare e riflettere da sola. Succede così che quando scopre qualche cosa che fa meglio capire o sentire la storia – sia che ciò succeda per il ragionamento proprio o perché l’intelletto è illuminato dalla luce divina – prova ben più gusto e ottiene un frutto maggiore che se la cosa gli fosse raccontata e spiegata diffusamente da un altro; perché non è il molto sapere che sazia e soddisfa l’anima, ma il sentire e il gustare le cose internamente » (Esercizi Spirituali, seconda annotazione, n. 2)